Il sapore amaro del cacao

Quel che più colpisce nella tragedia della nave carica di piccoli schiavi che vaga come un fantasma nel Golfo di Guinea è la sorpresa dell’occidente. Non solo non si tratta di una novità, ma la situazione di questi paesi africani è andata deteriorandosi di pari passo con la globalizzazione. La liberalizzazione del mercato delle materie prime e le speculazioni sulle borse hanno drasticamente ridotto i prezzi segnando la rovina dei paesi produttori. Mentre le riforme imposte dagli accordi firmati da questi paesi con il Fondo monetario internazionale hanno portato gli indici di povertà a livelli insostenibili.
L’Unione europea non è estranea a questi processi, anzi con le sue decisioni ha contribuito ad aggravare la situazione, anche in Africa. Ricordate la vicenda della cioccolata? Proprio un anno fa quando il parlamento europeo ha varato la direttiva che permette l’uso di materie grasse al posto del burro di cacao, non ha dato ascolto alle voci allarmate di coloro che mettevano in guardia sugli effetti che una simile decisione avrebbe avuto su una situazione già disperata. Solo in Africa 11 milioni di persone vivono della produzione del cacao.
Proprio la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria e il Camerun sono tra i maggiori produttori di cacao, il cui prezzo è in caduta libera. Dal 1998 al 2000 il prezzo è dimezzato, passando da 1.100 sterline (3.500.000 lire circa) alla tonnellata a 550 sterline, vale a dire meno di quanto fosse pagato negli anni 60. E il prezzo continua a scendere. Le pressioni economiche (per essere competitivi anche con i prezzi bassi i produttori cercano di impegnare manodopera gratuita) e la crescita della povertà hanno segnato negli ultimi dieci anni una ripresa del traffico dei piccoli schiavi.
In passato per il raccolto nelle piantagioni venivano ingaggiati per un lavoro stagionale anche bambini, ma alla fine del raccolto venivano rimandati a casa con qualche soldo. Così come soprattutto le bambine delle famiglie povere venivano mandate in città presso parenti più agiati – secondo il sistema della famiglia allargata, conosciuta in Benin come “videmegon” – dove in cambio di lavori domestici potevano ottenere un minimo di istruzione. Ora sfruttando quella tradizione alcuni bambini vengono sottratti alla famiglia povera in cambio della promessa di una remunerazione che può far comodo ai parenti ma che non arriverà mai, oppure comprati da genitori sempre più indigenti in cambio di pochi dollari (dai 15 ai 30) o, ancora, semplicemte rapiti, compito ancora più semplice se si tratta di bambini di strada. E se non lo sono poco importa, lo scorso anno, liste interminabili di bambini, la cui scomparsa era stata denunciata dai genitori, giacevano presso gli uffici della polizia del Mali. Senza riscontri. Mentre le autorità del Togo già due anni fa, dopo aver scoperto un traffico illegale di bambini, avevano lanciato un appello ai genitori perché non lasciassero i loro figli soli con estranei.
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sono 32 milioni i bambini vittime di sfruttamento minorile in Africa. Obbligati a lavorare nelle miniere, nelle piantagioni spesso tra i pesticidi, nel commercio dove sono impiegate anche molte bambine, le quali però sono sfruttate soprattutto nel lavoro domestico. La giornata di lavoro è interminabile: fino a 15 ore al giorno. Per non parlare dei bambini soldato e dello sfruttamento sessuale. Se cercano di fuggire vengono picchiati e se qualche volta ci riescono non hanno comunque i mezzi per ritornare a casa quindi finiscono sulla strada: a prostituirsi o a fare i lavavetri.
Se il fenomeno della schiavizzazione in Africa prima era prevalente nelle zone di conflitto (Angola, Sudan, Somalia), ora risponde soprattutto a esigenze prettamente economiche. Ed è nel Golfo di Guinea, forse per eredità storica – da qui partivano gli schiavi per le Americhe, vedi articolo accanto) – che sono più diffuse le organizzazioni criminali che sfruttano il traffico di piccoli schiavi.
La linea del fronte comprende: Benin, Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Gabon, Nigeria e Togo. I trafficanti provvedono a trasportare i bambini reclutati nei paesi poveri – Benin, Togo – in quelli dove serve la manodopera – Costa d’Avorio, Nigeria, Gabon. Secondo fonti diplomatiche centinaia di ragazze vengono trasportate dal Togo nel Gabon. Lo stesso avviene tra il Benin e la Nigeria: ogni mese dalla frontiera passano decine di ragazze destinate ai lavori domestici, la metà ha meno di quindici anni. A Lagos è stato scoperto nel 1996 un vero e proprio mercato di schiavi, dove erano ammucchiati bambini tra i 7 e i 17 anni, malnutriti, in attesa dei compratori. Lo stesso avviene al marché du Plateau ad Abidjan (Costa d’Avorio), dove le signore delle famiglie ricche vanno a scegliere le loro domestiche.
Il traffico di minori proveniente da questi paesi non è tuttavia riservato eclusivamente al Golfo della Guinea, alcuni bambini sono già stati mandati negli stati arabi e persino in Europa, sotto la copertura di competizioni sportive o persino di visite al papa.
Purtroppo la scoperta del traffico di bambini schiavi non è una novità, anche se finora si è parlato più di piccoli fabbricanti di tappeti in Asia esistono anche i bambini schiavi delle piantagioni di cacao. E la Etireno non è la prima nave carica di bambini schiavi nel Golfo di Guinea, proprio a Cotonou nel 1997 le autorità del Benin erano riuscite a bloccare una nave con 400 bambini a bordo prima che salpasse. E probabilmente, purtroppo, la Etireno non sarà nemmeno l’ultima.