Il sangue di Baghdad

“Nel suo discorso il presidente Bush ha riconosciuto ciò che la maggior parte degli americani già sanno: in Iraq non stiamo vincendo, malgrado il coraggio e l’immenso sacrificio dei nostri soldati. In realtà la situazione è grave, e sta peggiorando”. In questi termini si era espresso solo pochi giorni fa Dick Durbin, numero due del Senato americano, in quella che è stata la risposta ufficiale dei democratici al discorso presidenziale.

E chi pensava che l’impiccagione di Saddam e di alcuni suoi seguaci, insieme alla decisione di inviare ulteriori truppe statunitensi, avrebbe causato un ulteriore innalzamento di violenza e morte in Iraq, non ha dovuto attendere molto per trovare conferma alle sue previsioni.

A Baghdad infatti continuano gli attentati, e il bilancio complessivo soltanto di ieri parla di almeno 85 morti in tre diversi episodi, il più grave dei quali si è registrato all’università, dove due esplosioni hanno causato 65 vittime e 138 feriti.
Dopo che in mattinata erano state disinnescate tre bombe in un’altra zona della città, due automobili imbottite di esplosivo erano state parcheggiate anche davanti all’ingresso dell’ateneo “Mustansiriyahe”, e sono saltate in aria quasi contemporaneamente a un kamikaze, mentre gli studenti e i professori, a fine lezioni, guadagnavano l’uscita.
Una bomba sul ciglio della strada, è invece esplosa al passaggio di una pattuglia di polizia, causando 15 morti e 70 feriti nel centro della città. L’eplosione, avvenuta nel quartiere di Karradah, ha danneggiato anche autombili ed edifici, provocando panico e terrore in tutta la zona.
In un terzo attentato, alcuni uomini a bordo di tre automobili hanno aperto il fuoco sulla folla in un mercato nella zona nordorientale di Bagdad. Secondo fonti della sicurezza, almeno dieci persone sono morte e altre sette sono rimaste ferite.

Il quadro è quello di un paese completamente paralizzato dal terrore, nel quale gli stessi parlamentari in alcuni casi non assolvono più neanche ai loro compiti istituzionali.
In base alle cifre rese note dall’Onu nel corso di una conferenza stampa, nel 2006, in Iraq, sono stati uccisi 34.452 civili, mentre più di 36mila sono rimasti feriti. Questo significa che mediamente, in Iraq muoiono tra le 94 e le cento persone al giorno: un dato incredibile, confermato purtroppo anche da queste prime settimane del 2007, e tragicamente aumentato con le stragi di ieri.

In questo drammatico e sanguinoso contesto, bisogna ricordare che l’aumento “temporaneo” del numero di truppe americane in Iraq non ha al momento una data di scadenza precisa. Lo aveva già annunciato il ministro della Difesa Robert Gates, affermando che l’incremento viene per l’appunto visto come temporaneo, senza che nessuno abbia un’idea chiara di quanto possa durare. Gates ha però anche raccomandato al presidente Bush di aumentare le forze armate, con un incremento complessivo di 92.000 uomini da destinare tra esercito e marines, nell’arco dei prossimi cinque anni. Una decisione, ha spiegato, che rientra nella strategia della lotta al terrore della Casa Bianca.

Intanto continuano a morire donne, bambini, innocenti, destinati a rimanere spesso senza nome, e ad essere seppelliti nell’anonimato. Nel nome di una democrazia, che ha sempre più l’acre odore del sangue.