Il salario dimenticato

Prodi vuole vincere le elezioni locali del 27 maggio. Ieri ha fatto annunciare il rimborso (imposto dalla Ue) dell’Iva sulle auto aziendali: un mare di soldi, 5,3 miliardi per tre anni). Mercoledì i suoi hanno imitato Berlusconi, con il taglio dell’Ici sulla prima casa. Tutto bene, salvo che Visco è stato costretto a ingoiare il boccone amaro della rinuncia alla riforma della tassazione delle rendite, decisa con la manovra per il 2007. La rinuncia a modificare e uniformare (al 20% l’aliquota) il regime di tassazione delle rendite finanziarie priva il fisco di risorse stimate – da Padoa Schioppa – in 1,2 miliardi per il 2007 e 2,5 miliardi a regime per gli anni successivi. Poca roba, visto l’entità della manovra correttiva che abbiamo subìto per mettere a posto i conti del 2007. Ma Prodi non se l’è sentita di dare un’altra stangatina ai contribuenti alla vigilia di elezioni: si è adeguato e ha rinunciato. La mancata riforma non è solo questione di minor gettito, di minore risorse disponibili. I dati sulle entrate fiscali nel 2006 e nei primi due mesi del 2007 indicano un fisco che scoppia di salute. Di più. Ieri è arrivata l’ennesima stima sull’evasione fiscale: un imponibile non tassato da 300 miliardi l’anno e un’evasione da 125-130 miliardi. Prima di aumentare di nuovo le tasse ci sarebbe un piatto ben più ricco. Ma la riforma di Visco aveva un fondamento morale, di equità: oggi chi prende due soldi di interessi dalla banca o dalle poste paga il 27% di ritenuta, mentre chi specula – l’esempio migliore sono «i furbetti del quartierino» – e incassa ricche plusvalenze, paga su queste solo il 12,5%. Molto meno di quanto pagano le imprese sugli utili o, sull’aliquota marginale, un lavoratore con 20 mila euro di retribuzione. Quanto al costo del lavoro, una ricerca Eurispes di ieri dice che in Italia è cresciuto, tra il 2000 e il 2005, molto meno della media Ue e che in Europa – secondo Eurostat – i salari nell’industria e nei servizi dell’Italia superano solo quelli di Grecia, Spagna e Portogallo. Ma ieri il commissario Almunia ha invitato l’Italia alla moderazione salariale, pur se la priorità è redistribuire i redditi: attraverso la spesa sociale, i salari e con il fisco. In quest’ottica, rinunciare alla riforma della tassazione delle rendite è una controriforma: una strizzata di occhio ai ceti medi, ma soprattutto medio-alti. E una marcia indietro. Per far ingoiare questo boccone amaro, il governo ha promesso che già da quest’anno ridurrà l’Ici sulla prima casa e introdurrà dei bonus fiscale per gli inquilini in affitto. I due provvedimenti dovrebbero raccogliere ampi consensi, anche elettorali. L’Ici non è amata. Anche perché, facendo riferimento ai valori catastali, penalizza chi vive in abitazioni costruite di recente. Insomma, va bene eliminarla; ottimo detassare gli affitti. Prodi però non può rimangiarsi quello che era scritto nel suo programma. Questo vale per i Dico come per la riforma delle rendite: l’aliquota unica va reintrodotta. Prodi ci ripensi: ammesso che oggi non scatti un «trappolone» sul voto di fiducia sul decreto sulle liberalizzazioni.