Il salario che preoccupa i delegati metalmeccanici

Tutta l’attenzione, a parte le cartografie mutevoli nella sinistra, e nel centro-centro, sembra attirata dalla calamita dei «tavoli di concertazione», dove effettivamente i sindacati avranno non pochi problemi a ‘trattare’ con gli imprenditori, ma anche con il governo di centro-sinistra, sulle pensioni, i diritti sociali, le condizioni del lavoro. Un governo e una maggioranza che per altro si apprestano a far passare, con l’ennesima fiducia al senato, le «liberalizzazioni» targate Bersani (c’è di mezzo anche la Tav) e hanno di fronte a sé lo scoglio incombente del Disegno di legge Lanzillotta sui «servizi pubblici locali» – ossia sulla loro privatizzazione – sul quale rischiano di infrangersi spezzandosi. In questa selva di appuntamenti speranze e timori, sembra derubricato dalla ribalta degli «eventi», il contratto nazionale dei metalmeccanici che scade a fine giugno ma per il quale i tre sindacati Fim, Fiom, Uilm stanno tentando di mettere insieme una piattaforma comune, su una strada resa impervia anche da molte ragioni di «contesto» politico, in primis le scelte di questo governo, unitamente alla sua debolezza che funziona da ricatto implicito su movimenti e attori sociali.
Le segretarie nazionali dei tre sindacati metalmeccanici si rivedranno il 2 aprile per discutere ancora della piattaforma, ed è a loro che si rivolge l’appello di lavoratori e delegati partito da Modena, che ora alle prime firme ne sta aggiungendo altre allargando l’arco di adesioni nella regione: rispondono sia rsu che singoli delegati, moltissimi della Fiom, ma ci sono anche iscritti a Fim e Uilm. Il punto significativo però non è tanto la conta di chi e da dove, bensì piuttosto il merito che suscita la «perplessità e preoccupazione» dei firmatari, perché quel merito tocca pesantemente tutti gli uomini e le donne al lavoro nelle aziende metalmeccaniche: il problema è infatti il salario esiguo, insufficiente, che i sindacati prevedono nella piattaforma.
Fim, Fiom, Uilm pare stiano avvicinando le proprie posizioni su questioni cruciali come l’ambiente, ossia la sicurezza sul lavoro. Così come si annuncia una buona piattaforma comune per quanto riguarda il lavoro precario: vincolata e limitata, però, dalle politiche del governo di centrosinistra. Il fatto che non sia stata «cancellata» ma neppure «superata» la legge 30 del governo Berlusconi (detta «legge Biagi» dal centrodestra), riduce infatti la possibilità dell’agire sindacale e molto conforta le pratiche padronali.
Ma il salario resta punto di divisione tra i sindacati, e punto dolentissimo per i lavoratori: tanto che, nell’appello dei delegati modenesi si giudica del tutto insufficiente anche la proposta più alta, quella della Fiom, che propone un aumento di 130 euro (più 20 di aumento dell’istituto di mancato premio), mentre la Uil si attesta su 122 euro (più 30) e la Fim sui 100 euro.
Il problema è però, prima di tutto, come si traducono questi numeri in salario concreto? Se infatti, ad esempio, i 100 o più euro di aumento si riferissero al salario dei lavoratori collocati al V livello (e al momento sul punto non c’è accordo tra i sindacati) questo significa un aumento a scendere lungo i livelli più bassi. Nell’ultimo contratto, ad esempio, l’aumento per chi si trova al III livello fu di soli 86 euro – e i lavoratori lo inghiottirono con amarezza. Non pare si possa ripetere l’esperienza, anche perché nel secondo, terzo e quarto livello si raccoglie quasi il 50 per cento di tutti i metalmeccanici. Ma sul salario c’è anche un’altra richiesta pressante da molti luoghi di lavoro, perché ci siano «aumenti egualitari». Quantità e qualità, dunque. Senza dimenticare l’altra «preoccupazione» che si concentra sulla flessibilità degli orari: «ce n’è già troppa». Ma anche su questo tema incombono sia i desideri degli imprenditori, che l’inclinazione del governo ai «tavoli».