Il rosso e il nero, fantasmi della democrazia

Il rosso e il nero, fantasmi della democrazia
«Il mio libro rifiutato in Germania da chi ha i nervi scoperti»
Ex nazisti e crimini staliniani nel dibattito sul saggio di Canfora, che
risponde ai critici
Mi è parsa estremamente significativa la presa di posizione di questo giornale di fronte all’ «affare Beck». Qualcuno, invece, ha preferito praticare uno stile un po’ scomposto: penso ad un curioso, ribollente pezzetto anonimo apparso sul Riformista. Poiché però qualche critico ha inteso in modo approssimativo i termini della questione, conviene riepilogarli in due parole. L’ editore Beck ha dapprima approvato, d’ intesa con Jacques Le Goff e gli altri quattro editori, il manoscritto del volume intitolato La democrazia; quindi il redattore «per la saggistica storica» ne ha seguito con amorosa cura la traduzione; quindi ne ha stabilito la data di pubblicazione, e però alcuni mesi dopo la scadenza di tale data ha cominciato a parlare di «ritardi tecnici»; infine, il dottor Felken ha inviato una lettera un po’ imbarazzata in cui si sollevavano
due questioni (il giudizio sul patto di non aggressione dell’ agosto ‘ 39
e la, notoria peraltro, presenza di ex nazisti al vertice di Bonn durante
l’ era Adenauer); ha addotto come argomento della tardiva resipiscenza la propria scarsa conoscenza della lingua italiana (sic), infine ha proclamato di essere pronto ad accettare un verdetto negativo in tribunale pur di non pubblicare il volume. A proposito di tribunali, mi ha un po’ esilarato l’insistente elucubrazione di qualcheduno su di un ipotetico «processo Canfora» e su di uno «scrutinio sistematico» dei miei libri. Mi ha fatto venire in mente la garbata, olimpica e appropriata risposta che Benedetto Croce diede, in una nota su La Critica, ad un professore che si era effuso – approdando ad un giudizio di condanna – in un sistematico «scrutinio» dei luoghi in cui Croce, nei suoi scritti, fa riferimento al mondo antico. Si trattava – scrisse Croce – di «gratuita villania», o forse di una «allucinazione», in forza della quale quella persona s’ era immaginata di sedergli davanti qual giudice in un esame e di potersi permettere, grazie a tale posizione, appunto qualche gratuita villania. Ma veniamo alle questioni più interessanti emerse nel corso di questa discussione. Direi che esse, come è stato rilevato
da parte di interlocutori sia francesi che inglesi, riconducono tutte, in
un modo o nell’ altro, al «nervo scoperto» di una parte dell’ opinione pubblica tedesco-federale. Dico «una parte» perché, a fronte dell’ inopinata «marcia indietro» di Beck, c’ è stata anche una nutrita serie di richieste, da parte di altri editori, di poter pubblicare questo mio volumetto. Nervo scoperto sia nei confronti del proprio passato remoto che di quello prossimo. Mi trovo da vario tempo in Francia, per ragioni di studio e accademiche, e mi son sentito ripetere in modo corale che la scandalosa presenza di ex nazisti in posti chiave a Bonn al tempo di Adenauer (il cui notorio antinazismo non bastava certo a cancellare l’ inquietante fenomeno) era cosa arcinota e imbarazzante per tutti, negli anni della guerra fredda. Il libro di Tetens, pubblicista tedesco-federale, intitolato Nuova Germania, vecchi nazisti (Editori Riuniti), fu vietato a Bonn e poté uscire negli Usa (e a partire dall’ edizione americana
fu tradotto in vari Paesi compresa l’ Italia). Del resto, come non ricordare che la Repubblica federale fu il solo Paese dell’ Europa occidentale in cui il partito comunista fu messo fuorilegge (sentenza della Corte suprema di Karlsruhe) per l’ appunto in quegli anni? Naturalmente la Germania federale era Paese «di frontiera» nel confronto tra i due blocchi, e questo spiega tante cose. Ha perfettamente ragione Lill nel ricordare la «necessità» per
Adenauer di deglutire Seebohm come pedaggio per «allearsi con un partito di destra». Ma, appunto, il mio assunto era (ed è) che la guerra fredda fu un grave anticorpo a danno dello sviluppo della democrazia in Europa: mise seriamente in crisi quello sviluppo straordinariamente fecondo in senso democratico che le costituzioni sorte nell’ immediato dopoguerra (in primis quella tedesco-federale) avevano fatto sperare. È ovvio che questa, invero palmare, osservazione – che potrebbe avere interessanti termini di paragone nella coeva vicenda italiana
(De Gasperi che non apprezza per nulla il «listone» includente i neofascisti voluto da Sturzo e dal Vaticano in occasione delle elezioni comunali a Roma) – rinvia ad un altro problema, che richiederebbe una trattazione a parte: e cioè la nascita della guerra fredda, la sua remota origine nel tempo finale della guerra mondiale. Come disse Thomas Mann a Hollywood nel 1948: si stanno facendo avanti (negli Usa) e premono sul vertice politico «coloro che avrebbero voluto combattere al fianco della Germania contro l’ Urss piuttosto che al fianco dell’ Urss contro la Germania». E credo che valga la pena ricordare, a proposito dello spazio, anche operativo, conquistato in quegli anni dagli ex nazisti nella Germania federale, il capitolo importante sulla non troppo
misteriosa Odessa (Organisation der ehemaliger SS Angehörigen, Organizzazione degli ex appartenenti alle SS) nel libro-denuncia di Simon Wiesenthal Gli assassini sono tra noi, apparso anche in italiano (Garzanti). Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, dal vertice nazista partirono segnali e proposte aventi di mira un cambio di alleanze in extremis in funzione anti-sovietica.
Karl Wolff, braccio destro di Himmler, formulò precise proposte in tal senso ad Allen Dulles nel corso di contatti avuti in Svizzera e altrove. E Wolff ebbe il privilegio di non essere nemmeno lambito dal processo di Norimberga.
Chi abbia la pazienza di scorrerne gli atti può osservare che quando alcuni imputati (esponenti, ad esempio, del famigerato Ahnenerbe) cercavano di tirarlo in ballo, i giudici puntualmente respingevano la richiesta di far convocare in giudizio quel brillante alto ufficiale (il carnefice della repressione antipartigiana in Italia). Vittorio Strada ha reso nota, su questo giornale il 2 luglio di quest’ anno, una interessante documentazione sulla concreta ipotesi di cambio di alleanze. «Churchill – scrive l’ illustre studioso – fece apprestare al suo Stato Maggiore un piano d’ attacco militare anglo-americano all’ Urss, che doveva avere inizio il primo luglio 1945». Naturalmente dall’altra parte non c’ erano angioletti. Stalin fece sciogliere il Comintern nel maggio del ‘ 43 come segnale di buona volontà verso gli alleati occidentali, ma – come soggiunge opportunamente Strada – non aveva dismesso affatto il
suo «anticapitalismo». Procedeva – come ho scritto da qualche parte – «da buon realista» (espressione che in tedesco significa als echter Realist, ma, ahimé, il dottor Felken ha creduto che l’ espressione significasse «realista buono»!). Ovviamente, i fatti storici si valutano sulla base del loro esito.
Un antico detto greco recita: «Il modo in cui muori è il miglior rivelatore
di ciò che eri da vivo» (thanatos biou kategoria). L’ implosione dell’ Urss
è stato il miglior rivelatore del punto di non ritorno della sua crisi. Solo
qualche ingenuo poté lasciarsi andare, una trentina di anni fa, a scrivere
sul «consenso» intorno a Breznev. Questa vicenda editoriale, che per me è stata assai istruttiva (un insperato ulteriore esempio di quanto sia continuamente a rischio il confine tra tolleranza e intolleranza), mi è piaciuta anche perché ha dimostrato quanto sia ardua l’ arte del tradurre. «Tuttora», come direbbe un giovane studioso che collabora ogni tanto a questo giornale, Beck è un grande editore. Ma proprio per questo i suoi sbagli hanno grande risonanza.
Si conclude con questo articolo di Luciano Canfora la discussione sul rifiuto dell’ editore bavarese Beck di pubblicare il suo saggio «La democrazia. Storia di un’ ideologia», già uscito in italiano per Laterza e in spagnolo per Crítica.
Il libro fa parte della collana nata dodici anni fa sotto la direzione di
Jacques Le Goff, «Fare l’ Europa», cui aderiscono anche la britannica Blackwell e la francese Seuil. La notizia della mancata pubblicazione, segnalata il 10 novembre in un articolo della Süddeutsche Zeitung, è diventata un caso dopo le dichiarazioni di Canfora, di Giuseppe Laterza e la lettera di solidarietà di Le Goff pubblicate dal Corriere il 15. Mentre sul Corriere intervenivano il direttore editoriale della Beck, Detlef Felken (il 18 novembre), Lorenz Jäger (22), Victor Zaslavsky (23), Sergio Luzzatto e Rudolf Lill (24), nei giornali di lingua tedesca la polemica è stata ripresa ancora dalla Süddeutsche (17), dal Tagesspiegel (18), dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (21 e 22),
Die Welt e Neue Zürcher Zeitung (21), dalla Frankfurter Ründschau (22), da Die Zeit (24). In Italia sono intervenuti l’ Unità (17), Il Foglio (18 e 24), Il Riformista e La Stampa (24) e ieri Avvenire.