«Il Ros a Guantanamo»

«Andammo a Guantanamo in quattro, tutti del Ros, per interrogare alcuni detenuti del campo. Non avevamo nessun mandato dei magistrati che avvisammo solo in seguito. A decidere la nostra missione fu il generale Ganzer». A raccontare che i carabinieri italiani erano e forse sono di casa a nella prigione cubane dove interrogano i detenuti senza mandato della magistratura e senza alcuna partecipazione degli avvocati difensori è stato ieri mattina un carabiniere del Ros di Torino.
I fatti risalgono al novembre del 2002. «Non riferimmo all’autorità giudiziaria nulla sulla nostra attività perché nessuna delle persone che sentimmo rispose alle domande – ha spiegato il carabiniere – Comunque a Guantanamo venimmo a sapere che eravamo gli ultimi italiani a recarci in missione per svolgere attività investigativa». Nel super carcere senza regole che da anni mette in imbarazzo l’amministrazione americana, sarebbero stati di casa anche gli agenti della polizia di stato italiana, francese, tedesca, spagnola e svedese. E in tutto questo andirivieni di poliziotti da tutto il mondo il comportamento dei carabinieri del Ros sarebbe stato poca cosa: «Ho interrogato solo un marocchino di 18 anni che non ha risposto alle mie domande», ha detto quasi a giustificarsi il carabiniere in aula a Milano, aggiungendo poi che un altro suo collega aveva avuto dal marocchino Ben Abdul Mabruk informazioni «a proposito delle sue conoscenze a Bologna».
Di certo tutti i membri della missione inviata nella base americana sapevano benissimo quel che facevano, visto che il gruppetto era composto tutto da graduati: insieme al maresciallo c’erano anche un maggiore, un tenente colonnello e un capitano. E infatti al ritorno dalla missione, almeno formalmente, si guardarono bene dal «riversare» le informazioni raccolte sul processo in corso. Anzi, ha spiegato il carabiniere interrogato dal pm Elio Ramondini, «in via informale furono avvisati della spedizione a Guantanamo i pm di Torino dottor Tatangelo e dottor Ausiello, i quali però hanno fatto finta di non sapere».
Le inquietanti rivelazioni del carabiniere convocato ieri, a cui potrebbero sommarsi nei prossimi giorni quelli degli altri membri della spedizione, tutti convocati, cadono su un processo per terrorismo internazionale già un po’ traballante. Alla sbarra ci sono già da quasi un anno (l’ordinanza di custodia cautelare è del 7 maggio 2005) l’ex imam di Gallarate Abdelmajid Zergout e i suoi due collaboratori Mohamed Raouiane e Abdelillah El Kaflaoui. I tre vennero arrestati dai carabinieri del Ros di Torino su ordine della magistratura torinese perché ritenuti di aver creato la cellula italiana del Gruppo islamico combattente marocchino (Gicm). Secondo gli inquirenti sono loro tre i finanziatori e reclutatori di una ipotetica cellula italiana del Gicm – gruppo che in Marocco, nel 2003 fu l’autore delle stragi di Casablanca – ma che i tre avrebbero finanziato per anni senza mai partecipare direttamente all’organizzazione degli attentati. Le accuse contro di loro al momento girano quasi esclusivamente attorno a delle intercettazioni ambientali e telefoniche la cui traduzione è stata più volte contestata dai loro avvocati, sul materiale «filo terrorista» raccolto tramite internet e sulle dichiarazioni di un sedicente super testimone: Noureddine Nafia, ex mujaheddin, che ha raccontato di aver conosciuto l’ex imam Raouiane in un campo di addestramento in Afghanistan.
L’avvocato di Zergout, Sandro Clementi, ha sempre contestato il modo in cui questo processo è stato costruito: «Finalmente è arrivata la conferma che tanti investigatori italiani hanno usato fonti di discutibile liceità ed eticità giungendo formalmente, su espressa autorizzazione dei vertici del Ros, a legittimare la struttura illegale di Guantanamo anche da parte dell’Italia. Questa testimonianza getta un’ombra inquietante in materia di indagini sul terrorismo islamico».