Il rifiuto di Ds e Margherita affossa l’amnistia

E’ ammirevole l’impegno di una consistente area della cultura giuridica progressista, diretta a ottenere dall’attuale Parlamento un atto di clemenza per i detenuti che affollano le nostre carceri.
I tempi brevi di questo scorcio di legislatura e il realistico conteggio dei voti favorevoli a questa legge non consentono una previsione ottimistica. In ogni caso, sembra prendere sempre maggiore consistenza la forza di rappresentanti di una pubblica opinione che rifiuta il clima di eterna emergenza nella gestione dei poteri punitivi della Stato, che vuole scuotere la tranquilla sicurezza delle istituzioni sulla funzione educativa di un castigo duro e disumano.

Sono note le diverse tesi sulla finalità della pena: quella retributiva (la pena è il corrispettivo del male commesso); quella della prevenzione generale (la pena tende a distogliere i consociati dal delinquere con la minaccia di un male); quella della prevenzione speciale (la pena ha la funzione di risocializzare il reo, attraverso l’esame della sua personalità e la cura psicologico-sociale che renda superflue, nel tempo, le pratiche correzionali del carcere).

Quest’ultima funzione era stata privilegiata dalla cultura progressista degli anni ’70, fedele alla sua tradizione riformatrice che, come ricordava Di Lello, ha sempre perseguito il fine di togliere manette e sbarre.

In un’intervista dell’agosto del 2004, Giuliano Pisapia rammentava che l’ultimo governo di centrosinistra aveva ricevuto una delega dal Parlamento in tema di sanzioni alternative alla reclusione e che questa era stata l’unica delega a non essere stata esercitata. Sottolineava anche che, nonostante gli sforzi della sua area politica, un comune programma riformatore del sistema punitivo non era stato ancora definito, perchè «molti esponenti dell’Ulivo, pur aperti a parole, si trincerano al dunque dietro l’inevitabile emergenza».

La lettura, in questi giorni, delle linee generali del nuovo programma e l’immotivato rifiuto di Ds e Margherita di prendere in considerazione l’ipotesi dell’amnistia fanno intendere come il tempo trascorso non abbia maturato queste forze politiche alle prospettive riformatrici nel campo dei delitti e delle pene.

Non resta quindi che ribadire l’esigenza di lavorare nei tempi lunghi per superare la nuova dimensione del valore di scambio attribuito ai temi della sicurezza. Come ho già detto, c’è un superamento della criticabile funzione retributiva del rigore punitivo dello Stato.

Il reo subisce l’espropriazione della sua libertà non solo come corrispettivo del male cagionato alla vittima, ma anche come corrispettivo del consenso che il governante si prefigge di ottenere dalla pubblicità della sofferenza che infligge.

Questa dimensione doppiamente mercantile che inquina il sistema penale sta cominciando a mostrare un’iniziale crisi, grazie a questa campagna sull’amnistia e dintorni che deve mantenersi a livelli di tensione sempre più coinvolgenti.

Deve cioè esser chiaro che esiste un popolo di sinistra che non vuole più credere alla favola che la disumanità carceraria, oltre a distruggere il condannato e la civiltà giuridica del paese, riduce il numero dei delitti. Questo popolo deve saggiamente calibrare le proprie scelte politiche nel quotidiano e nelle cadenze elettorali. Deve essere ridotta al minimo nel nostro scenario politico, anche di sinistra, la tribù di mercanti di voti che non hanno alcuna volontà di garantire sicurezza ai cittadini ma vogliono solo garantire la sopravvivenza del proprio potere.

La diversità della parte più avanzata dei consociati deve tornare a coinvolgere tutti i settori del vivere civile. Il rifiuto della guerra come strumento di soluzione dei problemi giudici, il rifiuto del facile guadagno, il desiderio di uguaglianza, la tutela delle condizioni di vita dei lavoratori, il rispetto delle diversità religiose, etniche, culturali devono accompagnarsi alla coerente rivendicazione di un trattamento punitivo che non distrugga e umilii il cittadino-trasgressore. Il discorso di chi, dichiarandosi di sinistra, invochi pene sempre più disumane, perché lui la notte vuole uscire senza paura non deve più essere considerato benevolmente come divertente contraddizione, ma deve essere giudicato come opzione culturale libera ma incompatibile con scelte di una civiltà diversa.

E’ straordinario il silenzio con cui è stato accolto l’incredibile messaggio di un presidente di tribunale dei minorenni che ha auspicato la “riforma” di rendere soggetti alle pene anche i ragazzi tra i 12 e i 14 anni, per i reati come gli scippi e i borseggi, “magari prevedendo pene ridotte”.

Il giudice democratico deve tornare ad essere portatore della “critica del diritto” quando questo si allontani dalla ragione e dalle scelte umanitarie. Ferma restando la libertà di manifestazione del pensiero, possiamo fondatamente chiedere che non si invochi la tutela della democrazia, la posizione di sinistra quando si programmano nuove norme o si applicano quelle già vigenti con l’unico, conclamato risultato di affollare sempre di più le carceri ridotte a lager, di trasformare la pena da strumento di rieducazione (come previsto dalla Costituzione) a irrazionale e distruttiva pratica di internamento diffuso e massivo. La cultura progressista è un’altra cosa. Se questa semplice verità si consolida, i promotori di questa campagna per l’amnistia comunque sono da considerare vincitori.