Il richiamo della barbarie

Quello che hanno portato alla luce i giornalisti del Guardian a proposito di campi di concentramento nella Germania occupata del 1946-48 in cui le truppe britanniche torturavano prigionieri nazisti e presunti comunisti lascia a prima vista stupiti e interdetti. Sia perché allora i campi di concentramento sembravano essere stati una specialità delle SS tedesche e così le torture e il denutrimento dei prigionieri sia perché l’immagine della guerra fredda tra il blocco sovietico e quello anglo-americano è stata finora quella di un confronto duro e serrato ma non violento.
Certo, noi italiani non possiamo dimenticare che la strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, seguita un mese dopo in Sicilia dalla devastazione di camere del lavoro e dall’assassinio di numerosi sindacalisti, rientra pienamente nel quadro della guerra fredda portata avanti dal governo italiano con l’aiuto degli agenti segreti dell’OSS reclutati dagli americani nella Decima Mas di Giunio Valerio Borghese.
Ma la scoperta, grazie al quotidiano inglese, di una precoce Guantanamo in terra tedesca fa pensare che non si sia trattato di episodi sporadici e isolati ma di un modo di procedere che truppe alleate poco dopo aver liberato l’Europa dagli eserciti nazisti e fascisti hanno ritenuto di seguire non solo contro gli ex nazisti ma anche contro i nuovi nemici dell’Occidente cioè i seguaci dei partiti comunisti già perseguitati dal Terzo Reich.
Quale spiegazione si può dare sul piano storico e non solo polemico di un simile comportamento da parte delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale?
Penso soprattutto a due ragioni concomitanti che spesso abbiamo il torto di accantonare.
La prima è il forte imbarbarimento che provoca sempre la guerra e in particolare una guerra durata sei anni in grado di provocare nel mondo cinquanta milioni di morti e perdite gravi in tutti gli eserciti coinvolti nello scontro. Lo dico a titolo di spiegazione e non certo di giustificazione morale di una barbarie che è da condannare proprio in nome delle battaglie condotte da inglesi e americani per sconfiggere le truppe naziste e fasciste.
La seconda è più antica e vuol ricordare ai lettori che lo avessero dimenticato che l’istituto concentrazionario con tutto quel che segue nasce alla fine dell’Ottocento nelle guerre che i bianchi sudafricani conducono contro i negri che si ribellano all’apartheid e prosegue nei primi anni del secolo in tutte le imprese coloniali che le potenze occidentali conducono in Africa e in Asia contro i popoli indigeni che si oppongono al loro dominio.
Insomma i campi di concentramento non sono stati inventati dai tedeschi e il loro uso contro chi si ribella agli invasori è più antico ma continua anche dopo la caduta del Terzo Reich.
L’ascesa delle dittature che si realizza in Europa dopo la prima guerra mondiale non può che favorire l’impiego di questo strumento che si accompagna quasi sempre alle torture contro i prigionieri e spesso al loro assassinio. Fascismo italiano e nazionalsocialismo ne fanno l’uso che ormai conosciamo e altrettanto fa la dittatura bolscevica degenerata nel regime staliniano.
Ma anche le democrazie occidentali, a quanto pare, quando finisce la guerra calda e inizia quella chiamata chissà perché fredda, imitano il pessimo esempio e lo applicano non soltanto ai vinti di ieri ma ai nemici nuovi che la situazione mutata procura loro.
È difficile non arrivare a considerazioni amare di fronte a episodi come questi che equiparano regimi democratici a quelli totalitari ma proprio l’esempio di Guantanamo che dura tuttora in una delle democrazie più forti del mondo sta lì a dimostrare che neppure leggi consolidate e tradizioni democratiche salvano l’uomo dall’attuare se ha paura azioni che riportano alla barbarie del passato.
Civiltà e progresso – potremmo dire – non sono purtroppo conquiste perpetue e irreversibili.