“Dal punto di vista politico, non siamo di fronte alle rigidità di Federmeccanica ma all’attacco ai diritti dei lavoratori di tutta la Confindustria, il cui vertice è costituito da proprietari di aziende metalmeccaniche “.
Giorgio Cremaschi,segretario nazionale Fiom, spiega così perché da undici mesi un milione e mezzo di lavoratori metalmeccanici
sono in attesa del rinnovo del secondo biennio contrattuale. Il negoziato con Federmeccanica riprenderà il 6 dicembre e i sindacati sperano che lo sciopero di oggi, sostenuto da una manifestazione che, stando alle previsioni, porterà a Roma più di 100mila tute blu, dia la spinta decisiva per indurre gli industriali a un accordo entro la fine dell’anno.
Le resistenze da superare sono, però, ancora molte. A cominciare dall’inaccettabile ricatto padronale per cui la concessione degli aumenti salariali viene subordinata alla possibilità, da parte delle aziende, di decidere gli orari di lavoro a seconda delle proprie
necessità. «Gli industriali – osserva Cremaschi – non vogliono una semplice flessibilità ma una flessibilità autoritaria, che loro, in “padronese”, chiamano esigibile. Le aziende – ricorda il sindacalista – le flessibilità ce le hanno già, sono previste dal testo contrattuale del 1999. Ciò che vogliono mettere in discussione è l’accordo con le Rsu, senza il quale le flessibilità non possono essere
attivate». Una richiesta di mano libera che si vuole fissare in un accordo nazionale «alla faccia di tutte le dichiarazioni sul fatto che bisogna rafforzare la contrattazione di secondo livello».
Anche dal punto di vista economico le distanze restano ampie. La richiesta di Fim, Fiom e Uilm è di un aumento di 105 euro, più altri 25 a favore dei lavoratori privi di contratto aziendale. Federmeccanica ha sempre detto no all’erogazione dei 25 euro a questi lavoratori. Tuttavia lo scorso 21 novembre il direttore generale Roberto Santarelli ha spiegato che gli industriali sono «disponibili
a fissare una retribuzione di garanzia al di sotto della quale non si può andare, ma chiediamo – ha precisato – di riassorbire questi aumenti non solo attraverso gli incrementi da contratto aziendale ma anche da quelli derivanti dal superminimo».
Cremaschi scuote la testa: «E’ una risposta virtuale. Loro dicono: “Vi diamo una parte di questi 25 euro ma assorbiamo tutto ciò che eccede i minimi tabellari”, che poi sono 800 euro netti. Nessuno in Italia guadagna così poco. In pratica, è come dire che questi soldi non li daranno a nessuno». Complessivamente, la controfferta di Federmeccanica si aggira intorno ai 75 euro, anche se numeri ufficiali non stati mai fatti: «Consideriamo questa proposta assolutamente inaccettabile – ribadisce Cremaschi – con queste cifre non si recupera neanche parzialmente il costo della vita, figuriamoci il miglioramento delle retribuzioni». Il dirigente della Fiom non ha dubbi: «L’offerta salariale è volutamente tenuta bassa perché in realtà le aziende vogliono la flessibilità degli orari. Il nodo del contratto è qui. Non perché la nostra richiesta è troppo alta». Cremaschi ci tiene a ricordare «che il nume tutelare delle posizioni
dei padroni in questa trattativa è Bombassei, il vice di Montezemolo, il quale da tempo dice che bisogna finirla di contrattare
in fabbrica orari e condizioni di lavoro e che bisogna lavorare di più punto e basta».
Nel frattempo il tavolo parallelo sul mercato del lavoro è in alto mare. «Montezemolo in tutti i convegni spiega che ci vuole la formazione. Quando discutiamo in concreto – osserva Cremaschi – scopriamo che gli industriali vogliono fare dell’apprendistato un lunghissimo contratto di formazione lavoro, portato da 4 a 6 anni, senza usarlo come in Francia e Germania, dove è veramente
strumento formativo ». I sindacati sostengono che l’apprendista deve fare un pacchetto consistente di ore di studio all’anno pagate «mentre le aziende – chiarisce il segretario della Fiom – dicono che la formazione è imparare a lavorare e basta». Tanto è vero
che «le imprese sono furibonde con la delibera della Regione Puglia sull’apprendistato, perché stabilisce per loro degli obblighi precisi». Durissimo lo scontro sulla precarietà: «Abbiamo chiesto riferisce ancora Cremaschi – che ci sia una percentuale massima di lavoro a termine e interinale del 15-16% per ogni azienda. In più abbiamo chiesto di verificare la durata di questi contratti, definendo dei percorsi di stabilizzazione. Negli ultimi tre anni in molti accordi aziendali e anche con i precontratti queste cose le abbiamo ottenute». Federmeccanica si è detta disponibile a discutere di tetti, a patto che dal computo siano esentate tutte le causali di lavoro a termine previste dal decreto 368. «Nella sostanza – spiega il segretario della Fiom – tutti i contratti a termine inferiori a 7 mesi non entrerebbero nel conto. Quindi è sufficiente che una azienda assuma lavoratori per 6 mesi e 29 giorni per assumerne quanti vuole».