Il regime di Putin ha salvato la Russia?

Il sistema Putin è quello che ha riportato Mosca protagonista sulla scena internazionale e dato una svolta decisa a un paese che sotto Eltsin era finito al collasso. È la reazione al sistema caotico, oligarchico e pseudo-democratico di Eltsin. La stragrande maggioranza dei russi lo condivide: perché ha portato ordine, stabilità e grandi miglioramenti. Nessuno dice che sia un sistema perfetto, ma Putin ha dato una nuova prospettiva al paese: ripristinando il ruolo dello Stato, il presidente-premier ha costretto i “robber barons”, gli oligarchi eltisiniani, ad occuparsi solo di affari e non di politica.Lo afferma Stefano Grazioli, nell’intervista concessa a Daniele Scalea di “Eurasia.org” per presentare il suo ultimo libro, “Gazpromnation”, pubblicato utilizzando l’offerta indipendente di “lulu.com”, società statunitense specializzata nell’editoria online. Grazioli, giornalista internazionale freelance al lavoro per diverse testate, da anni si divide tra Bonn, Sondrio e Mosca, dove ha maturato grandi esperienze osservando da vicino i meccanismi del nuovo potere russo, quello di Vladimir Putin, incarnato dal totem della Gazprom, il colosso energetico moscovita.Quello di Putin, dice Grazioli, è un sistema in cui gli oligarchi sono stati sostituiti dai “siloviki”, i dirigenti dell’ex Kgb, divenuti “silogarchi”. Sempre in cerca di compromessi tra gruppi di potere, il “regno” di Putin ha comunque ridistribuito meglio di prima la ricchezza nazionale. Non s’è ancora trovata una soluzione al cancro della corruzione, dichiara Grazioli a Daniele Scalea, ma degli effetti positivi del nuovo regime «ha approfittato una fetta sempre maggiore della popolazione».

Cardine del potere, la forza del petrolio russo. Ma anche le riserve, che Mosca ha saputo creare, attraverso un fondo di stabilizzazione per affrontare la crisi. Un potere forte, garante della stabilità: «Senza di esso – avverte Grazioli – si sarebbe passati direttamente alla guerra civile». Restano molte ombre ovviamente, dalla guerra in Cecenia promossa da Elstin fino alla strage di Beslan, i bambini caucasici sequestrati dai terroristi: episodio che, dice Grazioli, è l’11 settembre della Russia, anche se molti in Occidente sembrano esserselo dimenticato. Chi critica Putin dimentica spesso che il suo «è un sistema in transizione, non un punto di approdo».

Sistema in evoluzione, grazie anche al nuovo inquilino del Cremlino, designato dallo stesso Putin: il presidente Dmitrij Medvev. «Medvedev – spiega Grazioli – è arrivato dov’è perché l’ha voluto Putin. Come Putin, è arrivato nel 2000 al Cremlino per volere di Eltsin e degli oligarchi», rappresentati allora da Boris Berezovski, ora riparato a Londra. «La differenza è che mentre Putin non era una creatura di Berezovski, Medvedev è una di Putin. Fanno parte della stessa squadra. La crisi ha portato qualche screzio, ma la sostanza di fondo non muta».

Putin, come si sa, avrebbe potuto dare uno strappo alla Costituzione e farsi eleggere per la terza volta alla presidenza. Ma ha voluto rispettare le regole, «ben sapendo che chi andava al Cremlino sarebbe stato una persona più che affidabile». Naturalmente, Medvedev ha acquisito spazio e potere con il suo team. si tratta però sempre di uomini la cui visione globale non è differente da quella dell’attuale primo ministro. I diversi apparati comunque possono concorrere, ma non arriveranno a distruggersi a vicenda. Putin ha costretto Berezovski a riparare all’estero. Improbabile che la cosa si ripeta con Medvedev».

Medvedev, insiste Grazioli, è stato preferito al ministro della difesa Sergej Ivanov (esponente dell’ex Kgb) proprio perché «persona lontana dall’intelligence» e con una formazione decisamente diversa da quella di Putin. Tutto questo, «proprio per dare un’immagine moderata e poco bellicosa al Cremlino». E sapendo comunque che anche Medvedev resterà fedele alla “democrazia controllata” instaurata a Mosca da Putin e ispirata dall’ideologo del Cremlino, Vladislav Surkov, già un paio di anni fa.

«Non si tratta di abolire i principi democratici che dovranno regolare la Russia nel prossimo futuro, né di far fuori la democrazia per motivi ideologici, non fare più elezioni e cancellare la libertà di stampa: la Russia – spiega Grazioli – ha avuto bisogno dopo settant’anni di comunismo e dieci di anarchia di una cura forte per riordinare se stessa. E la transizione non è certo finita. Il modello a cui tende deve essere specifico, non un’imitazione malriuscita di quello occidentale e deve tenere conto della storia di questo paese».

L’idea di rafforzare lo Stato, il bisogno di curare malattie vecchie e nuove e trovare rimedi a problemi devastanti (dalla corruzione al crollo demografico) sono elementi della dottrina Surkov che vanno di pari passo con la necessità di creare consenso su una base formalmente democratica, osserva Grazioli. Il controllo dei media, l’emarginazione forzata dell’opposizione e il parlamentarismo debole «non sono però una prerogativa della Russia di Putin e Medvedev: basta andare indietro ai tempi di Eltsin per trovare di peggio o dare un’occhiata anche dalle nostre parti in Occidente».

Strategico l’asse tra Mosca e Berlino, alleanza sbocciata prima del 1989 tra Mikhail Gorbaciov e il cancelliere Helmut Kohl, senza dimenticare la Ostpolitik di Willy Brandt. Negli anni ’70, socialdemocratici e liberali tedeschi hanno creato i presupposti per gli ottimi rapporti odierni: Gerhard Schröder oggi lavora per la Gazprom, mentre a Berlino governa la centrista Angela Merkel col liberale Guido Westerwelle, allievo di Hans-Dietrich Genscher, il ministro degli esteri durante la riunificazione. «Berlino guarderà sempre più verso est», annuncia Grazioli: «L’amicizia con gli Usa non pregiudica certo i rapporti con la Russia. Non penso che gli Stati Uniti arriveranno mai all’ultimatum, o con noi o con Mosca. La via pragmatica sarà quella che prevarrà».

Discorso analogo per l’Italia, che ai russi ha appena offerto di imepegnarsi nello sviluppo del gasdotto “South Stream”, alternativo al “Nabucco” americano concepito per escludere Mosca. «Come per la Germania – afferma Grazioli – ritengo che al di là dei colori dei governi, una più stretta collaborazione con Mosca sia inevitabile e proficua, non solo perché noi guardiamo a est, ma perché loro guardano a ovest. Almeno per ora». Secondo Grazioli, «purtroppo in Italia si ha un’immagine della Russia ancora legata al passato e la scarsa attenzione dei media verso questo Paese non facilita certo la presa di coscienza che la Russia, anche se non un alleato, è un partner fondamentale. I tedeschi lo hanno capito da un pezzo».

Berlusconi, al centro di una clamorosa tempesta mediatica per vari scandali, evoca un complotto internazionale: l’ombra degli Usa, indispettita dagli accordi strategici tra Roma e Mosca? Francesco Verderami sul “Corriere della Sera” ha lasciato intendere che i servizi segreti russi starebbero dando sostegno a Berlusconi, sebbene quest’ultimo abbia smentito categoricamente. «Le teorie del complotto sono spesso stuzzicanti, ma alla prova della realtà faticano a reggere», sostiene Grazioli. «Non so dire se Berlusconi abbia telefonato a Putin chiedendogli aiuto perché gli americani gli stanno facendo le scarpe, è certo però che in alcuni ambienti a Washington l’asse Gazprom-Eni non è stato accolto bene. Ma allora cosa dovrebbero fare gli Usa con la Merkel?».

Meglio allora tornare al terreno dell’analisi dei fatti, come suggerisce il libro di Grazioli sull’impero dell’energia russa creato da Putin. Il volume, annota Debora Billi su “petrolio.blogosfere.it.”, riepiloga alla perfezione tutti gli eventi russi degli ultimi vent’anni per consentirci di inquadrare la situazione attuale e lo fa con una scrittura scorrevole, semplice e diretta, offrendo una narrazione chiarissima a chi è in genere spaventato all’idea di affrontare gli intrecci politici post-sovietici.

Secondo la Billi, il libro di Grazioli «offre un punto di vista il più possibile obiettivo, evitandoci le consuete demonizzazioni a cui ci ha abituato la stampa occidentale». Oltre al “grande gioco” in corso nelle repubbliche ex sovietiche asiatiche, «Grazioli riesce a farci capire cosa pensano Putin, Medvedev e l’intera amministrazione russa, e la loro visione strategica per il futuro. Suggerendoci che, spesso, basta stare ad ascoltare cosa dicono». Esplicita l’enunciazione del presidente Medvedev: «Primo punto: la Russia riconosce la priorità dei principi fondamentali del diritto internazionale che definiscono le relazioni tra i popoli civili».

«Nell’ambito di questi principi, di questa concezione del diritto internazionale, noi svilupperemo le nostre relazioni con gli altri stati», afferma il presidente russo. Secondo punto: il mondo deve essere multipolare. «L’unipolarismo è inaccettabile. Il dominio è inammissibile. Noi non possiamo accettare un ordine mondiale in cui tutte le decisioni vengano prese da un solo paese, pur serio e autorevole come gli Stati Uniti d’America. Un mondo simile sarebbe instabile e minacciato dai conflitti». La Russia, aggiunge Medvedev, non vuole scontrarsi né isolarsi.

Stefano Grazioli ha studiato a Berlino e Milano. Ha diretto la redazione online del quotidiano “Kurier” e dal 2003 lavora freelance per testate svizzere e italiane, occupandosi soprattutto di Russia e Asia Centrale. Con Pierluigi Mennitti ha fondato nel 2009 il sito di informazione indipendente www.esreport.net, East Side Report – Inside Eastern Europe and Central Asia. In Italia ha pubblicato tra l’altro “Vladimir Putin, la Russia e il nuovo ordine mondiale” (Datanews, 2003), “Nel nome della gente, populisti estremisti e leader carismatici nell’Europa d’oggi” (Boroli, 2004) e “Putin Dixit” (lulu.com, e-book, 2008).

(Stefano Grazioli, “GazpromNation”, edito da “lulu.com”, scaricabile come e-book (15 euro) o acquistabile per posta (18,54 euro) su www.lulu.com o www.amazon.com. Fonte: www.megachip.info)