Il programma non è un feticcio

Di programma, in questi giorni, si inizia finalmente a parlare. Il manifesto ha fatto un utile scoop svelandoci i segretissimi contenuti dei tavoli programmatici, mentre il prof. Giavazzi sul Corriere della Sera ci proponeva la precarietà in salsa danese e una nuova ondata di privatizzazioni. Intanto pochi giorni fa i segretari dei partiti dell’Unione, riuniti nell’eremo umbro di San Martino in Campo, hanno messo un primo sigillo al programma. Ma, per essere sinceri, sembra di rimanere all’interno dell’universo delle formule verbali, inutile placebo, in mancanza di una vera soluzione ai dubbi che attanagliano l’Unione. Che sembra, a dire il vero, divisa su molte delle questioni fondamentali, dall’antico dilemma tra Stato e Mercato alle politiche sul lavoro, dal ritiro delle truppe (ricordiamo che, oltre all’Iraq, si sono anche l’Afghanistan e il Kosovo) ai lager-cpt fino alla riforma-privatizzazione della Rai. Nei tavoli sul programma il convitato di pietra pare essere proprio il programma, mentre continua la discussione ricca di tatticismi ma debole di contenuti intorno ai contenitori. Il Natale dell’Unione porta con sè, a quanto pare, solo una scatola, scintillante e addobbata, ma vuota.
Il rischio, non è mai inutile ricordarlo, è molto grave: che i partiti dell’Unione, una volta giunti al governo, non siano in grado di giungere ad una sintesi. O peggio che le armate (contro)riformiste riescano ad imporre la propria terza via: quella del ritiro sì, ma concordato con gli Usa, quello della legge 30 da riformare perché flessibilità non vuol dire precariato, quella della privatizzazione della Rai e dell’”umanizzazione” della violenza della Bossi-Fini.
Ci vuole, prima che sia troppo tardi, un antidoto. Una approfondita e partecipata discussione sui programmi, poiché è in questo campo, quello che riguarda le cose da fare, che si costruisce l’uscita dagli sfaceli del berlusconismo. Ed è su questo, per dirla senza mezzi termini, che va cercato lo scontro. E, se possibile, e solo in questo caso, la sintesi.
I compagni di Essere Comunisti, la più vasta area di minoranza di Rifondazione che si raccoglie intorno alla rivista L’Ernesto, hanno provato a farlo, pubblicando una ricca raccolta di contribuiti in un libro (Per L’alternativa Sociale e Politica, 462 pagine, 10 euro) che ha il merito di indicarci la via d’uscita: quella della sinistra d’alternativa, di quel pezzo di società italiana che, dalla battaglia per l’estensione dell’art. 18 al movimento contro la guerra, si è riconosciuta all’interno di poche ma chiare parole d’ordine: il no alla guerra, la difesa della democrazia, il no al neoliberismo. Nelle quattro sezioni del libro (Politica Internazionale, Economia e Società, Sistema istituzionale e Giustizia, Formazione e Cultura) ci sono ben 50 interventi di intellettuali, dirigenti, rappresentanti di associazioni, amministratori, intellettuali e giornalisti. Dalle pagine del libero, risultato tutt’altro che scontato, riesce a emergere un quadro coerente di un programma “avanzato e possibile”, come affermano Fosco Giannini e Gianluigi Pegolo nell’introduzione. Dall’associazionismo cattolico (Don Fabio Corazzina di Pax Christi su migrazioni e cittadinanza) al mondo del volontariato (Alberto Zoratti della Rete Lilliput sulla cancellazione del debito ai paesi poveri) fino agli interventi di sindacalisti (Franco Arrigoni e Guglielmo Simoneschi della Fiom, Paolo Sabatini del Sin. Cobas e Pierpaolo Leonardi dei Cub) il volume riesce a coprire l’intero quadro delle questioni in campo. Particolare evidenza viene data alle questioni economiche, ai temi della redistribuzione del reddito (Vladimiro Giacchè) alla critica dei parametri di Maastricht che, come afferma Emiliano Brancaccio dell’Università del Sannio “nascondono la ferma volontà di prosciugare flussi di moneta destinati alla spesa pubblica e ai salari”, ai temi del lavoro e della precarietà (Alberto Burgio, “Contro la precarietà come modello sociale”). C’è, poi, la questione della guerra, il passaggio dal Welfare al warfare, al keynesismo di guerra (Claudio Grassi, “Un Paese contro la guerra”), la battaglia per la smilitarizzazione del territorio, a partire dalla dismissione delle basi Nato, e la necessità di mandare via le nostre truppe dall’Iraq, tema sui cui, purtroppo, è ancora necessario battere, come ci ricorda Giulietto Chiesa (“Fuori l’Italia dall’Iraq”).
Dunque “il programma non è un feticcio”, come si afferma nell’introduzione, ma, piuttosto, una stringente necessità, poiché a partire da esso si costruisce non solo “la garanzia della solidità di un governo” ma anche, e specialmente “un punto di riferimento per i lavoratori e le masse popolari”. Poiché è nostro obiettivo non solo battere la destra, ma anche le politiche di destra. Anche quelle che i governi di centro sinistra hanno portato avanti nei governi degli anni ’90.