«Il processo è una farsa. Uccideteci»

Un ingegnere francese è stato rapito ieri a Baghdad nel quartiere esclusivo di Mansur. Il rapimento è il terzo di occidentali negli ultimi dieci giorni

Il processo farsa a Saddam Hussein, giunto alla terza udienza nella blindatissima «zona verde» Usa al centro della capitale irachena, ieri ha vissuto una delle sue più drammatiche giornate con l’ex presidente iracheno che ha incitato i suoi concittadini a resistere all’occupazione e gli avvocati della difesa che hanno abbandonato per circa un’ora l’aula denunciando la mancanza di garanzie per la difesa e contestando la stessa legittimità del tribunale. «Non ho paura di una esecuzione» ha gridato Saddam Hussein, «Questo non è un tribunale iracheno ma americano», «facciamola finita con questa farsa» ha aggiunto un altro degli imputati. Il tutto mentre il rappresentante a Baghdad delle Nazioni Unite per i diritti umani, Johan Case, ha sostenuto che il processo non soddisfa i minimi standard internazionali di giustizia. Dopo quelle del 19 ottobre e del 28 novembre, anche l’udienza apertasi ieri nell’aula del Tribunale speciale, già segnata dal caos, è sembrata per un momento destinata a naufragare del tutto quando il presidente della corte, il curdo Rizkar Mohammad Amin, ha negato la parola ai due difensori stranieri di Saddam Hussein, gli ex ministri della giustizia Usa Ramsey Clark e del Qatar, Najib al-Nuaimi. L’avvocato iracheno del Rais, Khalil al-Dulaimi, ha allora nuovamente contestato la legittimità del tribunale e assieme agli altri colleghi del collegio di difesa ha abbandonato in segno di protesta l’aula. L’udienza è stata sospesa per oltre un ora. Saddam Hussein, con in mano il libro del corano, ha colto l’occasione per scagliarsi contro la Corte. «Questi sono impiegati, non magistrati. Parlano di tribunale legale e sono stati nominati dagli americani. Viva l’Iraq. Viva la nazione araba», ha urlato. «Viva Saddam. Perché non ci condannate a morte e non la facciamo finita?», gli ha fatto eco il fratellastro Barzan al- Tikriti, ex capo dei servizi segreti. Al giudice che cercava di togliergli la parola, Saddam Hussein ha poi gridato: «Lei conosce la mia storia dal 1959 a oggi. Mi rende triste trovarmi di fronte a uno dei miei figli, io che ho servito questo paese per 30 anni»… «La cosa importante è la Nazione araba che deve andare a testa alta di fronte all’ingiustizia», «Saddam passerà e un altro ne prenderà il posto. Non è questa la cosa importante». La sospensione dell’udienza si è protratta per quasi un’ora e mezza, ma la mediazione avviata dal sindacato degli avvocati iracheni ha avuto successo e i difensori sono tornati in aula, dopo che il giudice Amin ha accettato di far parlare Clark e Nuaimi. Nel suo breve intervento («metà se ne andrà per la traduzione», si è lamentato), l’ex ministro della giustizia Usa ha soprattutto insistito sulla necessità di garantire l’incolumità agli avvocati della difesa, due dei quali sono stati uccisi a Baghdad il 20 ottobre e l’8 novembre. «Senza tutela della difesa, non può esserci giusto processo», ha spiegato Clark. Il suo collega del Qatar Nuaimi ha invece contestato la legittimità del tribunale, che ha definito «frutto di leggi illegali varate sott’occupazione», ma anche «non professionale» e «non indipendente» aggiungendo poi «Questi imputati sono prigionieri di guerra». Poi hanno deposto i primi due testimoni dei fatti di Dujail dove il presidente iracheno nel 1982 sfuggi micacolosamente ad un attentato ad opera di un gruppo sciita filo-iraniano della zona. Nei combattimenti e nella successiva repressione sarebbero stati uccisi circa 150 abitanti del villaggio e altri 450 arrestati e mandati al confino nel deserto di Samawa per quattro anni.

Intanto a Baghdad le autorità di occupazione hanno annunciato la morte in carcere, senza dare ulteriori spiegazioni, dell’ex primo ministro iracheno, esponente sciita del Baath, Mohammed Hamza al-Zubaidi mentre, sempre nella capitale irachena, è stato rapito un altro occidentale, l’ingegnere francese, Bernard Planche. Dal 25 novembre sono stati sequestrati quattro operatori umanitari (due canadesi, un americano, un britannico) e un’archeologa tedesca, Susanne Osthoff.