Il Prc vara il referendum sul governo “E sul decreto espulsioni niente sconti”

ROMA — Un “referendum” sul governo. L’idea porta la firma di Franco Giordano, e su questa base il segretario è riuscito a rimettere sostanzialmente d’accordo Rifondazione. Oltre che agli iscritti del Prc, Giordano lanciala proposta agli altri soci della Cosa rossa (nel prossimo week end a conclave a Roma per gli stati generali), ma le prime reazioni sono fredde. Si chiamano fuori i comunisti italiani, «ci pare inutile la verifica, figuriamoci una consultazione sulla verifica», mentre nelle fila della Sinistra democratica serpeggia la preoccupazione che un referendum possa tradursi solo in un siluro per Prodi. Un timore che circola anche fra i Verdi. In ogni caso, prima ancora di mettersi sulla strada della consultazione della base, a sinistra resta alto l’allarme sul decreto sicurezza, da oggi all’esame dell’aula del Senato (tour de force sugli emendamenti, con voto finale previsto per giovedì). Fra Rifondazione e il ministro Amato (attraverso il sottosegretario Marcella Lucidi) l’intesa di massima c’è: superamento, sia pure non definitivo, dei Cpt. Ma non tutti nel Pd, secondo quel che risulta alla sinistra radicale, gradiscono il testo frutto del compromesso. Il pericolo, allora, è che su alcune modifiche presentate dal centrodestra (in particolare da An) possa saldarsi un fronte che comprenda anche esponenti della maggioranza e la pattuglia dei diniani. «Ma se in questo modo il decreto espulsioni sarà peggiorato—avverte il capogruppo del Prc, Giovanni Russo Spena—sia chiaro che noi voteremo contro».
Una volta superato lo scoglio-sicurezza (e quindi la seconda lettura della Finanziaria), ecco allora aprirsi lo scenario della verifica
di governo. Che Franco Giordano, ieri davanti allo stato maggiore del suo partito, ha arricchito con l’idea del sondaggio di massa fra i militanti. Ai dettagli stanno ancora lavorando ma il piano dovrebbe scattare in due tempi: una consultazione “in uscita” e una in “entrata”. Un po’ sul modello sindacale, che chiama i lavoratori a pronunciarsi prima sulla piattaforma e poi sull’accordo raggiunto. Dunque, primo passaggio a gennaio con la richiesta agli iscritti di un mandato forte per trattare con il governo. Sul tappeto il segretario ha messo quattro temi caldi, da sottoporre appunto alla base: svolta sul precariato (secondo il progetto del giuslavorista Alleva), detassazione degli aumenti contrattuali, sblocco della Amato-Ferrero sull’immigrazione, pace e disarmo. Alla fine delle trattative con Prodi, più o meno nella prossima primavera, ecco il secondo tempo: il nuovo sondaggio, stavolta sui risultati incassati. E’ proprio questa, naturalmente, la parte più delicata dell’intera operazione: una vittoria dei no vincola il Prc a staccare la spina di Palazzo Chigi. E se il presidente Napolitano dovesse ipotizzare altre soluzioni? O se, nel frattempo, si fosse sul punto di chiudere un’intesa sulla legge elettorale? Ecco perché all’interno del Prc stanno ancora valutando con molta attenzione l’ipotesi di un referendum-capestro. In ogni caso, il combinato disposto verifica-consultazione degli iscritti quasi certamente farà slittare il congresso del partito, previsto in marzo. Rinvio che provoca qualche malumore, sospettando un qualche congelamento della battaglia interna. Ma il ministro Ferrero (uno dei nomi più accreditati per un’eventuale candidatura alternativa) decide di aspettare gli eventi. E non affonda il colpo neanche Ramon Mantovani, ala dei duri, che pure il referendum anti-Prodi lo vorrebbe, e subito.