Il Prc urla però vota il welfare pur di ottenere il modello tedesco

Roma. Il segretario del Prc, Franco Giordano, minaccia il governo ma si piega e annuncia il voto favorevole del suo partito al maxiemendamento che contiene il protocollo sul welfare. Il suo discorso riflette il travaglio interno al partito e la fronda crescente nei confronti del leader Fausto Bertinotti. Sempre di più, anche all’interno della sua maggioranza, deputati e senatori ne criticano la gestione. Così di fronte al malcontento nel partito e alla freddezza che contraddistingue i rapporti tra Rifondazione e gli alleati della Casa rossa, il presidente della Camera persegue una strategia rischiosa, ma determinata. Bertinotti punta tutto sulla riforma della legge elettorale, in Parlamento, e sul modello tedesco.
Unico viatico di salvezza capace di riunire le identità riottose della sinistra e placare i dissensi interni. Il governo non cadrà finché la trattativa continua, gli scossoni sono dovuti al timore che Romano Prodi sostenga il referendum.
Franco Giordano ha formulato una mezza minaccia: se la verifica chiesta da Rifondazione per gennaio non dovesse essere soddisfacente il Prc ritirerà la propria delegazione dal governo. “Tuttavia votiamo il maxi emendamento, ma Questa è l’ultima volta”. Il secretarlo ha parlato. a braccio, nel pomeriggio, ma il contenuto del suo discorso era stato concordato nella mattinata di ieri durante una riunione di segreteria. E infatti il garbuglio di subordinate, incidentali e ipotetiche con le quali ha sciolto l’annuncio lieto (per Prodi) è lo specchio della mistura d’umori chimici che si respira nelle stanze di via del Policlinico: incertezza, divisione, arrabbiatura e timore.
L’incertezza e il timore riguardano la cosiddetta “ala ministeriale”, ossia i più bertinottiani tra i bertinottiani, che non vogliono mollare il governo, ma non sanno ancora se la bramata riforma elettorale sul modello tedesco sia solo uno specchio per le allodole. L’arrabbiatura, invece, caratterizza un folto manipolo di senatori e deputati che hanno buttato un occhio sui sondaggi e rispondono alle telefonate di Gianni Rinaldini, il segretario della Fiom. La divisione, infine, è ormài la categoria interpretativa dei rapporti interni alla maggioranza del Prc. Ramon Mantovani la riassume così, in maniera chiara e brutale: “Se c’è del piombo sulle ali del partito, lo mettono quelli che chinano il capo di fronte a Fausto Bertinotti e – conclude allusivo – sempre più persone la pensano come me”. Dunque si punta l’indice contro il “Gran Sultano” (così lo chiamano i trotzkisti che non lo amano). E forse si tratta della più grande novità che il Prc ricordi nei suoi annali, dopo la defenestrazione di Praga subita da Armando Cossutta e soci nel’98.
Cosi mentre a sinistra della Rifondazione nasce un partito con “una falce e martello grande come il mondo” (lunedì prossimo il congresso battesimale del partito di Marco Ferrando), Bertinotti deve vedersela con la fronda interna, il calo dei consensi e la tendenza a smarcarsi manifestata sempre più apertamente dagli alleati della Casa rossa. Già perché a una settimana dagli stati generali della sinistra unita, la compagine massimalista del Parlamento italiano non è mai stata più scombiccherata di così. Il complesso di veti incrociati e assi asimmetrici che descrivono i rapporti nella Cosa rossa corrisponde infatti alle regole d’una geometria non euclidea. Proviamo a sintetizzare. Tra Sd e Prc esiste una totale sintonia su legge elettorale e processo unitario, ma una distanza incolmabile sulla politica del lavoro. Mentre tra Verdi e Pdci esiste una comune visione sulla legge elettorale, ma una divergenza siderale sulla formula unitaria. E pur tuttavia “Verdi e Pdci in disaccordo con Prc” non danno come risultato “Verdi in accordo con Pdci” e così via; Le regole della proprietà transitiva per la sinistra, non valgono. Basterebbe notare che alla semiotica bellicosa di Rifondazione sul welfare non è affatto corrisposta una solidarietà da parte di Sinistra democratica Verdi e Pdci. Si tratta dunque d’uno spartito dodecafonico che nelle speranze di Bertinotti ritroverebbe armonia Musicale solo all’indomani dell’approvazione, in Parlamento, di una legge elettorale proporzionale su modello tedesco. Un sistema che costringerebbe le individualità della sinistra a unirsi in partito unico, pena la fuoriscita dal Palazzo sullo scoglio dello sbarramento al 5 per cento. E infatti i salti acrobatici ai quali è stato costretto ieri in aula Franco Giordano per tenere insieme il voto favorevole al governo e la critica al governo stesso derivano proprio da questo (smentito) ragionamento. D’altra parte non è un mistero che Rifondazione potrebbe davvero decidersi a “staccare la spina” all’esecutivo solo nel caso in cui la trattativa sulla riforma elettorale dovesse arenarsi per imboccare la via dell’incombente referendum o (in alternativa) quella di una riforma “spagnola”, come ventilato da Silvio Berlusconi. Secondo i più maligni, poi, la minaccia di una ritorsione rifondarola contro il pacchetto sicurezza (ieri se n’è fatto carico il capogruppo al Senato, Russo Spena) deriverebbe dal timore che Romano Prodi, più che a una riforma parlamentare, possa puntare sul serio al referendum maggioritario.