Il Prc prepara la verifica: consultazione di massa

Lo aveva detto Franco Giordano che il voto di fiducia al governo sull’insoddisfacente protocollo sul welfare avrebbe aperto una «fase politica nuova». E per quella fase, che si manifesterà a gennaio, Rifondazione si prepara. Alla direzione nazionale del partito, riunita ieri insieme all’esecutivo, il segretario chiede un «mandato democratico» per gestire la verifica politico-programmatica con il governo reclamata a Prodi per l’anno nuovo. Ore di dibattito, dalle dieci del mattino fino a metà pomeriggio, decidono la linea. A gennaio, prima di discutere con il premier e l’Unione, Rifondazione lancerà una consultazione del proprio popolo per individuare i punti programmatici su cui svolgere la verifica. Giordano parla di «obiettivi credibili, praticabili, esigibili». Si pensa alla precarietà, pace e guerra (Afghanistan), diritti civili, Graziella Mascia insiste sulla questione “Genova2001 “. Su tutto questo, il Prc punta a ottenere una ricontrattazione del programma dell’Unione, visto che quello elettorale è stato rinnegato dal governo, dice Giordano. L’idea della consultazione di massa verrà proposta al resto della sinistra in occasione dell’assemblea unitaria di sabato e domenica prossimi. Ma se i partners del processo unitario non parteciperanno, il Prc andrà avanti da solo, pur non rinunciando al percorso intrapreso con Sd, Verdi, Pdci. E’ il primo passo della “resa dei conti” con il governo. Il secondo avverrà dopo un lasso di tempo che Giordano definisce «congruo» e consisterà in un referendum del popolo del Prc sull’esito della verifica con il governo. Insomma, si stringerà il cerchio: sì o no, restare al governo oppure mollare. Una scaletta di iniziative che si intreccerà con il dialogo in corso sulla nuova legge elettorale, che il Prc vuole proporzionale alla tedesca. «Ora la parola passa al Parlamento
dove c’è una maggioranza per il tedesco, dopo la sbornia maggioritaria degli anni scorsi», scommette Giordano che non risparmia stoccate a Prodi tifoso del “Mattarellum”. «Ha detto che sulla legge elettorale è il garante della coalizione. Avremmo preferito che lo facesse sui temi sociali». E’ evidente che il cumulo delle cose da fare, più la mancanza di chiarezza sugli scertari futuri, è roba da ingolfare il pensiero, prima ancora che l’agenda politica. Per questo, in direzione, il cuore del dibattito diventa, dalle prime battute, il possibile rinvio del congresso di partito previsto per i primi di marzo. Lo stesso Giordano racconta di averlo proposto in segreteria, ma rimette la decisione all’assemblea anche per rispondere agli attacchi delle minoranze e di quanti l’hanno accusato di «debolezza». E in direzione quelli che si pronunciano per il rinvio sono in maggioranza. Alla fine viene deciso che la segreteria nazionale consulterà i segretari locali, da qui al 10 dicembre (data della riunione della commissione politica per il congresso), per decidere se rinviare l’assise, che con le amministritative in primavera non si svolgerebbe prima del prossimo autunno. La decisione verrà ratificata dal Cpn di metà dicembre. Alla formulazione della road map dei prossimi mesi, la direzione e l’esecutivo ci arrivano attraverso un dibattito dai toni preoccupati, di critica al governo e di autocritica, sebbene non manchi il solito battibecca scherzoso ed esorcizzante tra Ramon Mantovani e Alfonso Gianni, da sempre su linee diverse riguardo al processo unitario a sinistra (con il primo che, disturbato dal secondo mentre parlava, lo invita a smetterla di «accartocciare fogli di carta in platea» e il secondo che non se la lascia sfuggire: «Se avessi ruttato, cosa avresti fatto?»). Sofferenza, ricerca di vie d’uscita da una situazione difficile. Appare chiaro da molti interventi (non solo di minoranza) che le possibilità di uscita possono anche contemplare la rottura con il governo, sebbene in una prospettiva temporale non ben specificata. La precisa però Giovanni Russo Spena: «Se alla fine della verifica non si ottiene niente entro tre-quattro mesi, allora si esce dal governo». Ma il capogruppo al Senato allarga la questione: dal rapporto con il governo Prodi al rapporto con i governi. E questo riguarda anche lo stesso processo unitario a sinistra, perchè «se noi insistiamo sulla
legge elettorale alla tedesca e poi Pdci e Verdi dicono di stare su un altro modello, è chiaro che al centro del ragionamento c’è sempre il governo: loro danno per scontato un accordo con Veltroni, noi rivendichiamo libertà di scelta sulla base dei contenuti dell’alleanza». Ma sia chiaro i fallimenti di questo governo non sono imputabili solo alla sua mancanza di autonomia da Confindustria, è l’autocritica di Russo Spena: «Se il governo è stato impermeabile verso i movimenti, è anche una nostra sconfitta: non abbiamo lavorato bene con i movimenti».
Di «sconfitta di tutta una strate-giapolitica», parla naturalmente anche Claudio Bellottì, della minoranza Falce e Martello (che, contrario al processo unitario, lancia «il carciofo» quale simbolo della sinistra). E pure Claudio Grassi di Essere Comunisti: «Non si capisce perchè quello che non ci hanno dato oggi, ce lo devono dare a gennaio». Lo fa anche Alfonso Gianni: «Non c’è sempre il complotto: se non ci riescono delle cose è anche colpa nostra, non solo dell’imperialismo cattivo». Ma per il sottosegretario allo Sviluppo Economico il rapporto con il governo deve essere materia di dibattito congressuale: «La consultazione va fatta, non si può anticiparla, è lì che si decide». Figuriamoci l’idea di rinviare il congresso. Questione sulla quale non si dicono d’accordo (tra gli altri) il segretario della Federazione di Roma Massimiliano Smeriglio, il vicepresidente del Senato Milziade Caprili («Non riusciremmo a reggere un rinvio»), Imma Barbarossa della segreteria, la deputata Elettra Deiana. Mantovani invece sostiene a spada tratta l’ipotesi del rinvio e come sempre è avvelenato con il governo, tanto daribadire che «la verifica andava chiesta subito, non avrebbe portato automaticamente alla rottura». E non si ferma qui.Attacca frontalmente Fausto Bertinotti, pur non citandolo esplicitamente: «Dobbiamo riflettere se ci è convenuto avere un presidente della Camera piuttosto che un ministro del lavoro o del welfare. Ora c’è chi vuole influenzare la discussione nel partito senza sporcarsi le mani…». Beatrice Giavazzi, responsabile Organizzazione, sa bene che un congresso a marzo «sarebbe fìnto», dunque è spietata sul posticipo. E quando appare chiaro a tutti che la direzione indicata è quella di un’assise nell’autunno 2008 (va detto che in finale di direzione Bellottì invita all’ordine, a evitare la «democrazia telefonica», Mantovani si accoda suggerendo di evitare modalità degne del «surrealismo di Bunuel», e si apre così la strada alla scelta di consultare i segretari locali), in diversi si concentrano sulle modalità della consultazione di massa. «Deve essere vera», dice Francesco Ferrara della segreteria, che invita a consultare il popolo della sinistra anche sulla «carta dei valori» che verrà elaborata all’assemblea unitaria dell’8 e 9 dicembre prossimi, fermo restando che «l’unità della sinistra si deve fare: è evidente a tutti che alle iniziative unitarie c’è partecipazione, a quelle del Prc ci sono 15 persone…». Intanto, la consultazione in vista della verifica «facciamola con chi ci sta, come per il 20 ottobre, che poi quelli che non c’erano hanno fatto autocritica», esorta il segretario della Puglia Nicola Fratoianni e convince i più. Come convince anche Michele De Palma della segreteria, da tempo schierato sulla linea: «Rinvio del congresso, consultazione per la verifica, referendum sul governo alla luce dell’esito della verifica». Che però, per Alfio Nicotra che su questo la pensa come Mantovani, doveva essere chiesta «subito». E’ andata diversamente. Nicotra punta sull’assemblea unitaria della sinistra, cita gli interventi di Barbarossa (che aveva annunciato «azioni dimostrative» delle femministe contro le modalità organizzative dell’assise) e del deputato veneto Gigi Sperandio («arriveranno 5 bus dei No Dal Molin da Vicenza: vorranno risposte») e avverte: «Dobbiamo gestirli gli stati generali. Non vorrei diventassero come il congresso di Lotta Continua a Rimini». Era il 76, ci fu un duro scontro tra il gruppo dirigente e le donne di Lc, il movimento si dissolse. «Magari…», è l’immancabile sarcasmo di Mantovani dalla platea.