Il Prc parla tedesco e frena sulla Cosa rossa

Il governo, sostanzialmente, ha accolto le richieste di Rifondazione sul decreto sicurezza, che ieri ha ottenuto un primo sì in commissione Affari costituzionali del Senato, almeno su due aspetti: il ruolo dei giudici ordinari e la reintroduzione del reato di razzismo. E le distanze tra il Prc e l’esecutivo si sono accorciate anche su un altro punto dirimente, riguardante la Finanziaria, come l’emendamento sulla stabilizzazione dei precari. La mediazione raggiunta prevede un concorso (voluto dai diniani) per i precari ma al tempo stesso un riconoscimento in termini di punteggio degli anni in cui sono stati in servizio (voluto da Rifondazione).
Futto risolto, quindi, dalle parti della sinistra-sinistra? Nient’affatto. Basta la lettura dei giornali di ieri per capire che il clima che si vive è piuttosto teso: L’outing di Ferrero su Liberazione a proposito del suo voto favorevole al decreto sicurezza prima maniera oppure l’intervista sul Corriere di Valentino Parlato («La sinistra è più a suo agio all’opposizione») manifestano qualcosa di più di un fastidio verso l’esecutivo. Dentro Rifondazione poi l’insofferenza è tangibile. Conseguenza: il partito di Giordano prova a resistere sul governo e frena sulla Cosa rossa. Ma andiamo con ordine.
Sul primo punto il ragionamento che si fa in via del Policlinico suona più o meno in questi termini: peggio di così non potrebbe andare, sulle questioni più qualificanti del programma non si è incassato nulla (dall’abolizione della legge 30 alla commissione sul G8) ma, vuoi perché sul campo c’è l’ipotesi della Cosa rossa che ha bisogno di tempo, vuoi per una sorta di “complesso del ’98”, se Prodi deve cadere, deve cadere al centro. E questa ipotesi non viene vissuta affatto come una iattura, anzi. Anche perché le voci che girano sul rimpasto post natalizio non sono da salutare con le bollicine: in caso di riduzione dei ministri il nuovo assetto – caldeggiato da Veltroni – mirerebbe a togliere esponenti della sinistra-sinistra dai dicasteri sociali. Quindi, nonostante Giordano abbia chiesto in direzione a gran voce di ridefinire l’azione del governo e delle sue priorità, perché la fiducia «non è sine die», l’obiettivo reale è, come dice il sottosegretario all’Economia Alfonso Gianni, «resistere, resistere, resistere». Afferma Gianni: «Il quadro è tutt’altro che entusiasmante, ma – realisticamente – andarsene adesso all’opposizione significherebbe condannarsi all’inutilità. Occorre utilizzare questo momento per trovare un’intesa su una legge elettorale sul modello tedesco che potrebbe permetterci, domani, di fare un’opposizione visibile». Le due conseguenze, subordinate all’assunto principale, sono: primo, che la legge elettorale segna comunque la dead line del governo; secondo che, se questo è l’obiettivo, lo si può raggiungere con Prodi, ma anche con un esecutivo ad hoc. Il gruppo dirigente bertinottiano prova in tal modo a governare un partito con le opposizioni interne sul piede di guerra. Paradossalmente ma non troppo, infatti, il 20 ottobre – rivelatosi piuttosto innocuo verso palazzo Chigi – sta dando non pochi problemi a Giordano che non ha in mano risultati spendibili per compensare le aspettative del «popolo rosso».
Fin qui il governo. E la Cosa rossa? Alla commissione preparatoria del prossimo congresso, riunitasi qualche giorno fa, Giordano aveva presentato la sua tesi congressuale per «un soggetto unitario e plurale», con lo scopo, alzando l’asticella su un obiettivo ambizioso, di raggiungere agevolmente quello più realistico di una federazione tra partiti. Ma molti membri della maggioranza di Rifondazione (vicini a Ferrerò, Russo Spena, Grassi) hanno chiesto di modificare la proposta nella direzione di «un partito unitario, plurale e federato». Conseguenza: riunione aggiornata e asticella abbassata. L’ipotesi ora diventa una federazione intesa non come tappa ma come meta. Il che significa, per il futuro, non sciogliere i partiti esistenti. Rispetto a qualche tempo fa si tratta di una bella frenata. E, ad oggi, i futuri compagni di viaggio della Cosa rossa frenano tutti. Anche chi accelera. In che senso? Nella Sinistra democratica i dirigenti più vicini alla Cgil, contrari all’abbraccio con Rifondazione, sostengono che la federazione non basta e che bisogna andare «oltre» i partiti esistenti, altrimenti non ne varrebbe la pena. Dal momento che i più non lo vogliono fare, equivale ad essere contrari. Anche i verdi sulla sicurezza sembrano aver fatto le prove generali della “Cosa rotta”, sostenendo più le posizioni del governo che le critiche del Prc. Per non parlare di Diliberto che balla da solo (in Italia e a Mosca) e vuole una specie di “Cosa russa”. Conseguenza: ciò che resta del progetto iniziale è il tandem tra Giordano (ingabbiato nella sua maggioranza) e Mussi (senza sindacalisti). Non è un caso che la preparazione degli stessi stati generali della sinistra previsti per l’8 e il 9 dicembre, dicono da Rifondazione, è in alto mare. Anzi non si sa nemmeno se si terranno.