Il «Giorno della Memoria» (il 27 gennaio, anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz) è stato istituito con legge dello Stato per due ragioni che rimangono entrambe ben vive.
Il Parlamento ha inteso in primo luogo «conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa». Ma ha anche collegato l’esercizio della memoria della Shoah all’impegno volto a impedire il ripetersi di analoghi orrori. Ci si augura che ricordare serva a far sì che «simili eventi non possano mai più accadere».
Entrambe queste finalità debbono essere riaffermate.
Oltre che un dovuto omaggio alle vittime di una catastrofe che non conosce confronti nella storia del mondo contemporaneo, la memoria dello sterminio nazista è – se coniugata con la ricerca e col continuo interrogarsi sul passato – un insostituibile strumento di comprensione del nostro presente e di noi stessi, che di quel passato siamo, nostro malgrado, eredi. Questo vale in particolare per noi italiani, che troppo spesso indulgiamo a tesi autoassolutorie. Le leggi razziali, promulgate dallo Stato italiano nel 1938, costituiscono una macchia indelebile nella nostra storia. A nulla può valere il tentativo di sfuggire all’enorme responsabilità di averle emanate e applicate, operando in complicità con la Germania hitleriana.
Ricordare per capire e conoscere se stessi, dunque. Ma ricordare anche per prevenire. Certo la memoria non è una garanzia sufficiente. Ma è indubbiamente un aiuto prezioso, poiché l’esperienza insegna a riconoscere i pericoli gia corsi, le minacce già fronteggiate. Vale a questo riguardo quanto scrisse uno dei massimi testimoni del genocidio ebraico: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire». Queste parole – consegnate da Primo Levi al suo testamento spirituale, I sommersi e i salvati – debbono rimanere scolpite nella coscienza di noi tutti.
Tanto più oggi, nel mondo in cui viviamo. La legge che ha istituito la ricorrenza del Giorno della Memoria è stata emanata nel luglio del 2000, quando ancora non si erano svolti molti, tragici avvenimenti che tanto gravemente pesano sulla scena politica odierna.
Mai del tutto scomparso, il razzismo è tornato a recitare un ruolo di primo piano dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. A sessant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, lo scenario internazionale vede nuovamente dilagare odî radicali che alimentano nuove guerre, nuove violenze, nuove paure. Pur con tutte le differenze che separano il presente dal passato, parrebbe volersi nuovamente chiudere il circolo perverso che nel Novecento condusse agli orrori che oggi ricordiamo.
Anche per tali ragioni occorre celebrare questa ricorrenza. Non si tratta solo di ricordare, ma di conquistare un adeguato grado di consapevolezza per ciò che riguarda eventi, ideologie, logiche relazionali e pericoli ancora purtroppo ben presenti.
Viviamo con questo spirito il 27 gennaio di quest’anno: recando un commosso omaggio ai milioni di innocenti – soprattutto ebrei; ma anche Rom e Sinti, omosessuali, disabili e Testimoni di Geova – massacrati dalla ferocia nazifascista. E rinnovando l’impegno a fare sempre tutto quanto sarà in nostro potere per fermare il risorgere della violenza razzista.
Partito della Rifondazione Comunista
Circolo cittadino “Rosa Luxemburg