Il piano di Israele: entrare nella Nato

Il lungo braccio della Nato si allunga dall’ Europa e si piglia dalla faccia del Medio Oriente il dente israeliano. Negli anni Cinquanta, Maariv e i suoi lettori sognavano (a vignette) di venir chiamati a far parte dell’ Alleanza Atlantica, ma da allora nessuno governo a Gerusalemme se l’ è mai sentita di pagare la quota politica per entrare nel club militare. Sotto la minaccia del programma nucleare iraniano, la squadra di Ehud Olmert – rivela il quotidiano Jerusalem Post – ha deciso di cambiare strategia. Un comitato tra ministero della Difesa, Esteri e il Consiglio per la sicurezza nazionale sta preparando un documento che delinei le mosse diplomatiche per trasformare lo Stato ebraico in un membro a pieno titolo della Nato. Il piano dovrebbe essere pronto per la fine di febbraio, quando verrà presentato al premier. Il primo a parlare dell’ idea è stato proprio Avigdor Lieberman, ministro per le Minacce Strategiche (ovvero Teheran). «Il nostro obiettivo dev’ essere chiaro: ingresso nell’ Alleanza e nell’ Unione Europea», ha commentato una ventina di giorni fa. Per Lieberman, leader della destra ultranazionalista, i vantaggi del matrimonio sono evidenti: «La guerra che stiamo conducendo in Medio Oriente non è una guerra di Israele da sola. E’ un conflitto di tutto il mondo libero e noi siamo in prima linea. Il terrorismo palestinese fa parte della jihad internazionale, la Nato non cercherebbe di frenare la nostra libertà d’ azione militare». Otto anni fa, Ariel Sharon era convinto del contrario. Allora ministro degli Esteri, aveva definito «interventismo brutale» i bombardamenti alleati contro i serbi: «E’ sbagliato per Israele appoggiare queste operazioni che vogliono imporre una soluzione a dispute regionali. Nel momento in cui esprimiamo la nostra approvazione, rischiamo solo di essere la prossima vittima». Lo storico militare Martin Van Creveld riconosce lo scetticismo che ha caratterizzato i rapporti tra la Nato e Gerusalemme. «Eppure l’ Alleanza sembrava fatta apposta per noi: nata un anno dopo lo Stato ebraico, formata da Paesi che non avevano controversie con Israele e che per la maggior parte avevano votato in favore della sua creazione». Chi sembra sicuro dei benefici di una futura unione è Uzi Arad. Fondatore del centro di Herzliya e per venticinque anni un dirigente del Mossad, ha dedicato al progetto gran parte della conferenza internazionale, chiusa ieri nella cittadina a nord di Tel Aviv. Dal podio di Herzliya, leader europei e americani hanno proclamato la necessità di un accordo. «L’ Iran cambierebbe completamente idea, se sapesse di dover affrontare tutta l’ Alleanza» (José Maria Aznar, ex premier spagnolo). «Bisogna trovare da subito soluzioni per aumentare la cooperazione» (John Edwards, senatore democratico e candidato alla presidenza degli Stati Uniti). «Saremmo molto felici di poter vedere la bandiera israeliana sventolare davanti al nostro palazzo della Nato» (Alexandr Vondra, vicepremier ceco). La Casa Bianca riconosce che far entrare Israele nell’ Alleanza sarebbe la strategia migliore per frenare gli iraniani. Per ora, Washington si limita a parlare di «una collaborazione più stretta e non di un’ affiliazione totale», come ha ripetuto Nicholas Burns, uno dei vice di Condoleezza Rice, domenica da Gerusalemme. In ottobre, è stato firmato un accordo per rafforzare questa cooperazione e le navi israeliane pattuglieranno il Mediterraneo in nome della Nato. Passati cinquant’ anni, il quotidiano Maariv continua a pensare che quel dente vada estratto e inglobato militarmente nell’ Occidente. «Dobbiamo essere pronti a pagare il prezzo politico – scrive David Lipkin -: la richiesta di raggiungere un accordo finale con i palestinesi, che comporterà difficili concessioni».