Non ci sono più «turbolenze» tra Italia e Stati uniti, ma solo «discussioni» e talvolta «dissensi tra amici» ma in ogni caso non adesso e non dopo la cena a quattr’occhi tra Condoleezza Rice e Massimo D’Alema che lunedì sera al tavolo con vista sul Potomac del ristorante Aquarelle a Washington – nel complesso del Watergate dove c’è l’alloggio della segretaria di stato americana – hanno persino raggiunto un’intesa di massima sul percorso della conferenza di pace per l’Afghanistan. In verità era stato proprio D’Alema a parlare di «turbolenze» alla vigilia del viaggio, ma subito il portavoce di Foggy Bottom Sean McCormack aveva ridimensionato l’espressione dell’ospite italiano – «vorrei leggere bene cos’ha detto realmente» – e ieri è stato proprio McCormack a concedere la più attesa apertura di credito alla strategia italiana, con prudenza: «Può essere una proposta costruttiva, desideriamo comprendere alcuni dei dettagli relativi a questa conferenza e, fondamentalmente, conoscere l’opinione del governo dell’Afghanistan». Una prudenza che il vicepremier italiano ha però forzato un attimo prima di ripartire per Roma indicando un termine ravvicinato per la conferenza: «Si può fare entro l’anno».
D’Alema ha spiegato la strategia dell’Italia aprendo ieri mattina a New York (pomeriggio in Italia) i lavori del Consiglio di sicurezza dell’Onu che dopodomani voterà per il rinnovo della missione di assistenza civile Unama. D’Alema ha riproposto «nel modo più solenne» la conferenza internazionale di pace per l’Afghanistan. Indicandone un percorso graduale e senza accennare nell’intervento all’ipotesi avanzata da Fassino di coinvolgere i talebani. Anche la prossima conferenza che si terrà a Roma a maggio sulla Rule of law in Afghanistan – limitata all’approvazione di un piano di azione sulla giustizia – e poi il vertice dei ministri degli esteri del G8 allargato ai rappresentanti dell’Afghanistan e del Pakistan sono inquadrati da D’Alema in questo percorso a tappe verso la conferenza. Che nelle intenzioni dell’Italia dovrebbe seguire quelle di Bonn (nel 2001 dopo due mesi di guerra) e di Londra che nel febbraio 2006 ha istituito un gruppo di coordinamento sull’Afghanistan composto da 7 rappresentanti del governo Karzai e 21 delegati della comunità internazionale (il Joint coordination & monitoring board, Jcmb). D’Alema immagina la conferenza in ambito Jcmb, istruita dal governo afghano e dall’Onu, e con un obiettivo principale: «Contribuire a una dimensione regionale della sicurezza e della stabilità in Afghanistan». Collaborazione dunque con i vicini, in primo luogo il decisivo Pakistan dai pessimi rapporti con Kabul. «Per avere successo – ha detto D’Alema – dobbiamo essere ambiziosi e rafforzare la dimensione regionale». L’accento di Washington nelle parole del portavoce McCormack va proprio all’approccio graduale: «Pensiamo che sia una idea che merita di essere discussa e che si debba vedere se si possa andare avanti». Che inevitabilmente stride con il termine ravvicinato avanzato poi da D’Alema.
«Un allarme salutare»
Nella sua relazione, la prima per l’Italia membro non permanente del Consiglio di sicurezza, D’Alema si è appoggiato alle considerazioni del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon molto critiche sullo situazione in Afghanistan. «Il rapporto ha contenuti inquietanti – ha detto il ministro degli esteri italiano – ma è un salutare campanello d’allarme. Dobbiamo riconoscere che i progressi non sono sufficienti in molti settori, non solo in quello della sicurezza». L’intervento militare, ha detto D’Alema precisando di farlo «come rappresentante di un governo che si è impegnato con un gran numero di soldati», «non può essere sufficiente». Se nella relazione ha evitato ogni riferimento all’invito dei talebani alla conferenza di pace, D’Alema passando dall’inglese all’italiano con i giornalisti al seguito ha definito «polemiche provinciali» quelle di casa nostra: «Non noi ma il presidente Karzai ha promosso un processo di pace e giustizia con quelli che accettano di deporre le armi. Tutte le guerre si concludono con una riconciliazione». Secondo D’Alema la conferenza di pace rappresenterebbe «il punto culminante del rilancio dell’impegno politico italiano» e già adesso «la possibilità della conferenza viene valutata seriamente dai nostri più importanti partner», come ha detto il ministro subito prima di un pranzo con gli altri rappresentanti del Consiglio di sicurezza in cui è tornato ad insistere sul valore della proposta italiana. Potendo a quel punto contare già sulla prudente apertura di credito del dipartimento di stato Usa.
L’ultimo pensiero di D’Alema è stato di nuovo per Condoleezza Rice che il vice premier italiano ha voluto ringraziare «per la comprensione» dimostrata nel corso delle trattative per la liberazione di Mastrogiacomo. «Senza la quale – ha detto – non ci sarebbe stata una soluzione a questa drammatica vicenda». Il dipartimento di stato ha invece rifiutato qualsiasi commento sulla liberazione dei prigionieri talebani.