Il petrolio iracheno per Israele

Affari di guerra: il governo di Tel Aviv chiede agli Usa la riattivazione dello strategico oleodotto Mosul-Haifa

Mentre è ancora in corso la guerra sanguinosa per l’occupazione dell’Iraq, Sharon presenta a Bush il conto per l’appoggio fornito da Israele. Il comando israeliano ha partecipato alla guerra, anche se non apertamente, sin dalla fase preparatoria, infiltrando commandos nell’Iraq occidentale, addestrando fanti e marines Usa al combattimento urbano, mettendo il proprio territorio a disposizione del Pentagono per costruirvi depositi di materiale bellico e carburante, e costituendo a Tel Aviv un comando congiunto israelo-statunitense collegato via satellite al Comando centrale Usa nel Qatar. La moneta con cui Sharon chiede di essere pagato è l’oro nero dell’Iraq. Lo conferma il fatto che il ministro israeliano delle infrastrutture, Joseph Paritzky, ha dato disposizioni per una eventuale riapertura dell’oleodotto che fino al 1948 collegava Mosul, nella zona petrolifera dell’Iraq settentrionale, al porto di Haifa sul Mediterraneo, dove oggi si trova la maggior parte delle installazioni petrolifere e raffinerie israeliane. Lo ha comunicato lo stesso ministro al quotidiano israeliano Ha’aretz (31 marzo), dicendosi «certo che gli americani sarebbero favorevoli al progetto, dato che l’oleodotto porterebbe il petrolio iracheno direttamente al Mediterraneo». La riapertura dell’oleodotto Mosul-Haifa garantirebbe a Israele un flusso di greggio a basso costo, estratto in un’area limitrofa. In tal modo, esso «potrebbe risparmiare sull’importazione di petrolio ad alto costo dalla Russia». Il progetto sicuramente non dispiace agli «americani», ai quali il ministro israeliano si rivolge in veste di futuri governanti dell’Iraq. Questo per due ragioni: sia perché sarebbe vantaggioso per le compagnie petrolifere statunitensi, cui dovrebbe essere affidato lo sfruttamento dei pozzi iracheni, sia perché toglierebbe alla Russia una lucrosa fornitura petrolifera, punendo Mosca per la sua opposizione alla guerra.

Si riapre così, con un’altra guerra, la storia dell’oleodotto Mosul-Haifa. Esso svolse un importante ruolo nella penetrazione dell’imperialismo britannico nella regione mediorientale, soprattutto quando, nel 1937, Londra promosse un colpo di stato in Iraq instaurandovi un governo filo-britannico: ciò le permise di ottenere il petrolio iracheno a bassissimo prezzo e di trasportarlo attraverso l’oleodotto fino in Palestina, sotto mandato britannico dal 1922. Quando nell’aprile 1941 la Germania hitleriana promosse in Iraq un colpo di stato in funzione anti-britannica, le forze filo-tedesche occuparono il forte di Rutba assumendo il controllo dell’oleodotto Mosul-Haifa, che venne però riconquistato poco tempo dopo dalle forze britanniche. L’oleodotto venne chiuso nel 1948, con la cessazione del mandato britannico sulla Palestina e la proclamazione dello stato di Israele.

Successivamente si tentò di riattivarlo quando, negli anni `80, l’Iraq di Saddam Hussein era in guerra contro l’Iran e quindi era sostenuto da Washington. Fu il primo ministro israeliano Yitzhak Shamir a proporre al governo iracheno la riapertura dell’oleodotto Mosul-Haifa. Nello stesso periodo, alla metà degli anni `80, il governo israeliano intraprese una trattativa con Baghdad e Amman, cui partecipò Donald Rumsfeld (allora consigliere del presidente Reagan), per la realizzazione di un altro oleodotto, costruito dalla Betchel statunitense, attraverso cui il petrolio iracheno sarebbe potuto arrivare al porto giordano di Aqabah sul Mar Rosso. In cambio del suo assenso, Israele avrebbe ricevuto 100 milioni di dollari annui. Di nuovo, nel 1987, il ministro israeliano per l’energia, Moshe Shahal, elaborò un progetto che prevedeva di trasportare il petrolio iracheno fino ad Haifa attraverso le Alture di Golan occupate. Ma anche questo progetto naufragò con il cambio di fronte e la prima guerra contro l’Iraq.

Ora, con la seconda guerra contro l’Iraq, si crea di nuovo la possibilità di riattivare lo storico oleodotto Mosul-Haifa. Su questo è in corso una serrata trattativa tra il governo Sharon e l’amministrazione Bush. Si fanno però i conti senza l’oste. Quale sarebbe la reazione in Iraq al momento in cui il petrolio iracheno cominciasse a scorrere verso Israele? Come reagirebbero i curdi, dal cui territorio partirebbe il petrolio? Quali forze occorrerebbero per proteggere l’oleodotto da azioni di sabotaggio? Quale sarebbe la reazione dei paesi arabi? Probabilmente a Washington si pongono tali interrogativi. Ma Sharon insiste: pretende, giustamente, la parte che gli spetta del bottino di guerra.