Se la maggioranza è piena di guai alla camera figuriamoci in senato. A palazzo Madama ieri ennesimo «pasticciaccio brutto» sul decreto antirumeni. Ieri pomeriggio il relatore di maggioranza in commissione affari costituzionali (Giannicola Sinisi, Pd) prima ha aperto pubblicamente a due modifiche peggiorative chieste dal centrodestra, poi, su pressione della sinistra, si è tirato indietro provocando la certezza quasi matematica che il decreto arriverà domani in aula senza finire i lavori in commissione. Da cui conseguirebbe una camarilla all’ultimo voto tra maggioranza, destre e dimani che rischia seriamente di portare il decreto alle sue storture originarie.
In apertura di seduta, dopo pranzo, Sinisi ha accolto di fatto un deciso allargamento delle maglie discrezionali per le espulsioni comminate dai prefetti, una modifica esattamente contraria a quelle chieste finora dalla sinistra. Solo la rivolta dei parlamentari presenti di Sd, Prc, Pdci e Verdi e l’assicurazione che il testo della maggioranza sarebbe passato con tutti i voti lo ha convinto a tornare sui suoi passi. A quel punto, però, irritata dal dietrofront del Pd, la destra ha iniziato un lento lavoro di ostruzionismo che appunto potrebbe portare il decreto ad arrivare in aula senza un testo definito e senza un mandato al relatore. Stamattina i capigruppo dell’Unione proveranno a sanare la frattura, ma certo è che alla riunione non ci saranno i «libdem» di Dini, che anche su questo punto delicatissimo hanno ribadito ancora ieri di avere le «mani libere».
Il rischio che il decreto peggiori, anche con la complicità del Pd, non è peregrino. Il governo non ha accolto, per ora, l’eliminazione della reclusione nei Cpt per i comunitari in attesa di espulsione chiesta dalle sinistre. Si ricalca lo stesso travaglio del welfare, con il ritornello sulla «riduzione del danno» che però poi non porta a nulla.
In una riunione mattutina dei quattro partiti di sinistra viene anche valutato se votare contro il decreto, con la consapevolezza che è un provvedimento fuori dal programma e su cui non ci sarà il voto di fiducia. La sola ipotesi ha trovato la contrarietà di quasi tutti i presenti, sia nel Prc, nel Pdci, che nei Verdi e Sd. Si decide così per la battaglia in commissione, per il sostegno alla maggioranza a tutti i costi e, come ennesima prova di responsabilità, si decide di portare il no ai Cpt come emendamento in aula se respinto in commissione.
Solo in caso di peggioramenti drammatici da parte dei «diniani» e della destra allora, forse, la sinistra unitaria farà mancare il suo sostegno a Prodi. Ancora non c’è nulla di formalizzato ma la scelta è di evitare ogni rottura. Del resto, ragionava la maggior parte dei senatori, se non si è fatto cadere il governo sul welfare non si può certo farlo cadere su un emendamento al decreto sicurezza. Anche se di questo passo non è ancora chiaro dove si possa finire.