Vorrei testardamente un PRC con base di massa. Un Partito della Rifondazione Comunista ben radicato sul territorio con tutti i suoi tanti Circoli aperti, frequentati da migliaia di militanti e di simpatizzanti, migliaia di motori dell’iniziativa politica che parla agli sfruttati del lavoro e delle sue regole classiste, ai giovani schiacciati dalla cultura prevalente del mercato e dei suoi padroni, alle donne ricacciate nel lavoro di cura domestico e nella loro funzione di riproduzione senza determinazione, con il linguaggio comune della classe. Un partito capace di intercettare bisogni e domande che si esprimano individualmente o in forma organizzata nei movimenti o nelle associazioni, ma anche di dare risposte, ottenere risultati e tenere vivo o rigenerare lo spirito critico necessario a quella che una volta chiamavamo la coscienza di classe, oggi da rilanciare con forza, indispensabile per il superamento del capitalismo, superamento che mantenga nel suo orizzonte possibile. Vorrei un PRC riconosciuto per la sua alterità alla vulgata della crisi degli ideali, ma che valorizza il suo impianto ideologico con la pratica dell’azione politica, con le sue ideee e anche con le sue emozioni da portare nel sociale ma anche nelle istituzioni. Istituzioni nelle quali i suoi rappresentanti, estranei a logiche personalistiche e maggioritarie all’americana, si battano per l’affermazione dei punti irrinunciabili, in una battaglia per l’egemonia nelle coalizioni con forze di sinistra alternativa, per sconfiggere le destre al potere, ma anche le tendenze neo-liberiste che la sinistra moderata ha fatto sue. Un partito il cui gruppo dirigente è espressione collettiva della sua base e – in ugual misura – dell’etica individuale dei suoi componenti. Che assume le regole che si da’ quale garanzia di una democrazia interna vera, esente da interpretazioni di parte, che ne umiliano lo spirito costitutivo. Che valorizza la fatica di una base militante e volontaria che mette la propria vita personale, il suo tempo libero, le sue risorse finanziarie a disposizione del partito, mai lasciandola senza formazione politica dal centro, mai senza un suo reale coinvolgimento nelle decisioni da assumere e, soprattutto, non la riscopre solo al momento dei congressi. Un gruppo dirigente che unisce e non che divide la sua base; che non confonde la categoria della sintesi con il mero riassunto delle posizioni presenti al suo interno, convincendo della linea che propone e non imponendola con pochi o tanti punti percentuali di maggioranza. Questo vorrei. Ognuno di noi si interrogherà su quello che siamo. Di questo parla la mozione ESSERE COMUNISTI. In questo congresso non si confrontano solo due opzioni, una funzionale all’altra, ma, a dispetto di chi finge battaglie che non fa, cinque mozioni dibatteranno con la forze della proprie idee. Troppe per un Partito come il nostro che sembra aver rinunciato alla sua coesione e unità. Per quanto ci riguarda l’opzione che esprimiamo è quella di ESSERE, ancora, COMUNISTI nel PRC.
Nota sul partito che c’è: Il clima pesante interno al PRC è diretta conseguenza di pratiche – l’ incremento “anomalo”del tesseramento con cui chiudiamo il 2004 verso il VI congresso – che non ci appartengono e verso le quali dobbiamo esprimere uno sdegno che si riserva ai fatti gravi. Questa responsabilità (ben più grave della sola lettura di strumentalizzazione ai fini congressuali) è da assegnare alla maggioranza del gruppo dirigente nazionale. Avremo, tutti, il compito di sanare questa ferita dopo il congresso. Il tesseramento al Partito si riconferma per noi compagni della mozione 2 – ESSERE COMUNISTI – quale atto politico primario dei comunisti, che oggi, simbolicamente anche con l’iniziativa di Livorno ,affrontiamo per il domani del PRC. Atto che non può contemplare la degenerazione della”colletta delle tessere” per fini congressuali di parte.