Il partigiano Bentivegna e le “verità fasciste” di Vespa

ROMA Rosario Bentivegna, il partigiano gappista che portò a termine l’attacco militare di via Rasella, insieme ad un nucleo di altri gappisti, ha chiesto a Bruno Vespa una pubblica ritrattazione a proposito di una serie di gravi affermazioni sulla Resistenza romana, pubblicate nel libro: «Da Mussolini a Berlusconi».
Dopo l’attacco al battaglione «Bozen» che provocò una trentina di morti (l’esplosione uccise anche un bambino innocente), i nazisti portarono a termine, per vendetta, la strage delle Fosse Ardeatine.
Non si tratta di una vera e propria azione legale, ma Bentivegna chiede che, nel volume, Vespa apporti le necessarie correzioni per non divulgare ulteriormente, una falsa versione dei fatti.
Vulgata fascista. Vespa – afferma Bentivegna – ha sposato pari, pari, la vulgata antipartigiana e fascista che sostiene, da sempre, come gli occupanti nazisti, subito dopo l’attacco partigiano di via Rasella, avessero affisso per le strade della Capitale un manifesto-appello ai gappisti perché si presentassero spontaneamente, in modo da evitare la rappresaglia delle Ardeatine.
In verità, come raccontarono nel corso dei processi davanti alle corti militari alleate, i nazisti non affissero mai manifesti del genere per le strade della città, in particolare in rapporto all’attacco di via Rasella. C’erano soltantio alcuni manifesti, affissi anche in tutto il resto d’Italia, nei quali si affermava che chiunque fosse stato trovato in possesso di armi, sarebbe stato fucilato.
Gli occupanti nazisti – questi sono i fatti ampiamente provati – in pieno accordo con Hitler a Berlino, con lo stato maggiore e i comandanti della polizia nazista di Roma, già nella notte cominciarono a mettere insieme l’elenco degli antifascisti e degli ebrei innocenti che dovevano essere fucilati comunque. Lo stesso questore di Roma, Pietro Caruso, si presentò al ministro dell’interno di Salò che si trovava all’Hotel Excelsior in via Veneto, per chieder se dovesse o meno obbedire agli ordini del comandante della polizia nazista Herbert Kappler. Il ministro dell’interno Buffarini Guidi rispose senza alcuna incertezza: «Obbedisci, obbedisci, altrimenti chissà che cosa potrebbe succedere».
E De Gasperi… Rosario Bentivegna, ovviamente, si sente diffamato dalla versione dei fatti raccontata da Bruno Vespa, «in modo ambiguo anche per tutto il resto».
Ha spiegato Bentivegna: «De Gasperi non fu mai d’accordo con l’attacco dei Gap in via Rasella? Ma se fu proprio sotto il governo De Gasperi, che noi avemmo medaglie e riconoscimenti al valor militare. Quei riconoscimenti furono firmati proprio dall’allora capo del governo».
Per questo Bentivegna chiede a Vespa una pubblica ritrattazione e la correzione dei fatti nella parte del libro che racconta l’attacco di via Rasella.
Il gappista romano polemizza con di Vespa per le pagine del libro in cui si spiega che i partigiani avrebbero dovuto rimanere in posizione «attendista» dato che gli alleati sarebbero arrivati a Roma dopo un paio di mesi. Dice Bentivegna: «Noi avremmo dovuto aspettare che i ragazzi inglesi e americani arrivassero a Roma morendo in gran numero per noi italiani, senza che i partigiani della Capitale facessero qualcosa per cacciare gli occupanti? Sarebbe stata davvero una vergogna».
Le polemiche su Gentile. Rosario Bentivegna interviene anche nelle polemiche sulla morte del filosofo Giovanni Gentile, ucciso dai gappisti fiorentini, dopo che la citta era rimasta profondamente sconvolta, dalla fucilazione, al Campo di Marte, di cinque ragazzi che non avevano obbedito al bando di arruolamento di Salò.
Bentivegna, nella lettera-diffida a Bruno Vespa, riporta brani del discorso di Gentile per invitare gli italiani ad aderire alla Repubblica di Mussolini, per sottolineare la gravità delle parole pronunciate dal filosofo, in un momento molto difficile per i combattenti della libertà.
Il gappista di via Rasella sostiene, in conclusione, come le pagine di Vespa dedicate a quei drammatici avvenimenti, siano ambigue, in parte false e accolgano in pieno solo il racconto dei fatti di parte fascista. Insomma, le pagine del libro di Vespa, si inserirebbero nella vulgata antiresistenziale e antipartigiana, portata avanti da tempo da studiosi e ricercatori niente affatto obiettivi.