«Possiamo o non possiamo dire che le privatizzazioni sono state un disastro? E che la vicenda Telecom è la madre di tutti questi errori». Gianni Rinaldini, ci mette il punto interrogativo. Ma l’intervento che ieri a Napoli ha chiuso la due giorni della Fiom dedicata al Mezzogiorno, è fatto di poche domande, e nessuna retorica. «Dobbiamo fare i conti con gli errori del passato», dice il leader dei metalmeccanici, facendo riferimento non solo a quello che definisce il «bubbone Telecom», ma anche alle ferrovie e ad Alitalia. Per Rinaldini è questa la conseguenza della logica secondo cui «lo Stato si limita a stabilire le regole, per il resto ci pensa il mercato». Un’ideologia che ha favorito il disastro del sistema industriale: «Quali sono i grandi gruppi di carattere internazionale rimasti in Italia, oltre alla Fiat?», si chiede Rinaldini.
Per il segretario della Fiom, si deve ripartire dall’intervento pubblico, senza il quale non può esistere una politica di sviluppo industriale. «Non vogliamo riproporre l’era delle partecipazioni statali, ma una molteplicità di politiche dell’attore pubblico», spiega Rinaldini. Su due terreni: quello nazionale, che rimane necessario «per permettere all’Italia di riagganciare lo sviluppo del centro dell’Ue»; ma anche quello europeo, a partire dal netto no al Libro Verde dell’Ue e dal rifiuto dei vincoli di Maastricht interpretati dal monetarismo della Bce. Per questo Rinaldini propone che, già dal prossimo incontro della Fem (Federazione Europea dei Sindacati Metalmeccaninci), si cominci a discutere di Sindacato Europeo. «Sarebbe impossibile ridare al Mezzogiorno una seria prospettiva industriale senza invertire il percorso che lo rende un pezzo delle periferia europee, contrapposte al cuore industriale del centro», afferma Rinaldini, riprendendo l’analisi sulla “mezzogiornificazione” dell’Europa, approfondita nella due giorni dagli interventi degli economisti Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonso.
La posizione del governo è rappresentata da Fabrizio Barca, direttore del dipartimento Politiche dello Sviluppo e attuale consigliere di Padoa Schioppa: per lui quello del mezzogiorno è un problema di «servizi collettivi». «Acqua, smaltimento rifiuti, formazione e infrastrutture», che migliorano al qualità della vita delle persone e la produttività delle imprese.
Ben diversa la posizione dei metalmeccanici della Fiom. Lo spiega con chiarezza Giorgio Cremaschi: «Non saprei neppure contare quanti casi di delocalizzazioni mi sono trovato davanti in questi anni», racconta. «Non solo verso il sud del mondo, ma anche verso il Nord Europa, che continua ad attrarre capitali: siamo alla desertificazione, al deserto senza cattedrali». La colpa, per il sindacalista, è di quei governi che hanno dato spazio all’intervento del capitalismo italiano, che Cremaschi definisce «una pura espressione geografica». «Dobbiamo avere il coraggio di chiedere un nuovo intervento pubblico, sostenuto da un vasto movimento sociale del mezzogiorno, capace mettere in discussione l’idea che prima vengono i conti in regola e solo dopo la redistribuzione», afferma il segretario della Fiom.
Il tema dello sviluppo industriale si mischia a quello della criminalità negli interventi dei tanti sindacalisti costretti a vivere in un sistema economico permeato dal fenomeno mafioso e in quello di Giancarlo Caselli. Il magistrato parla di antimafia dei diritti, dell’«eclissi della questione morale», del «predominio dell’interessi egoistico su quello di tutti», in un mercato dove «l’impresa mafiosa inquina e sconfigge quella pulita». Di questo parlano anche Angela Marano, segretaria della Fiom siciliana, Roberto Mastrosimone, Rsu della Fiom di Termini Imprese, che racconta di una fabbrica che chiude dopo l’arresto del responsabile del personale, direttamente assunto dalle cosche. Poi Mario Sinopoli, segretario della Calabria, ricorda come negli ultimi dieci anni dalla sua regione siano partiti 80mila giovani diplomati e laureati, mentre il ricercatore dell’università di Salerno Davide Bubbico parla della ripresa del fenomeno della migrazione operaia dal mezzogiorno d’Italia («non tutti sanno che l’80% dei lavoratori della Ferrari di Modena sono meridionali»). Di questi e di altri temi si parlerà nei tavoli sullo sviluppo industriale a cui la Fiom è pronta a partecipare. Partendo dal presupposto, come ricordato anche dal ministro Bersani, che l’Italia è un paese industriale. Che rischia di ritorvarsi, però, senza industria.