L’eutanasia come l’aborto,come la sperimentazione sugli embrioni, come la fame, tutte «morti silenziose» che minacciano il diritto alla vita e che rappresentano «una minaccia alla pace». Non ha dubbi papa Benedetto XVI. Proprio mentre la vita di Piergiorgio Welby è appesa a un filo, nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2007, dedicato quest’anno alla «Persona umana, cuore della pace», ripropone netta la posizione della Chiesa. Mette sullo stesso piano le «morti silenziose», compresa l’eutanasia, alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza che fanno «scempio del diritto alla vita». Spiega che l’aborto e la sperimentazione sugli embrioni «costituiscono la diretta negazione dell’atteggiamento di accoglienza verso l’altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace». «La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è». Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase, scandisce il pontefice, «stabilisce un punto fermo di decisiva importanza» perché «la vita è un dono di Dio di cui l’uomo non ha completa disponibilità». «Non se ne può disporre a piacimento». Il rispetto della dignità dell’uomo è un dovere. Nel Messaggio per la Pace 2007 non si sofferma troppo sull’eutanasia e, ovviamente, non si fa cenno al caso Welby. Non lo nomina neanche il cardinale Raffaele Renato Martino, responsabile del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che ha presentato ieri il messaggio alla stampa. Il porporato però, dai microfoni di Sky 24, è cauto: «Quando una persona ha raggiunto una condizione terminale bisogna lasciar fare alla natura, in modo che Dio possa riprendersi il dono della vita che ha creato». «Personalmente – aggiunge – sono contrario all’accanimento terapeutico, ma in questo caso non sono autorizzato a dire se si tratta di accanimento terapeutico o meno. Dico solo che il Papa e la Chiesa sono contro all’eutanasia».
AI centro del Messaggio del Papa vi è il diritto naturale, espressione della «razionalità» della Creazione, fonte di diritti e doveri, che «dovrebbe essere valido e rispettato da tutti», evitando «intromissioni inaccettabili nel patrimonio di valori propri dell’uomo». «Chi gode di un maggiore potere politico, economico, tecnologico, economico – scandisce – non può avvalersene per violare i diritti di altri meno fortunati». Così il Papa torna a riproporre il suo ragionamento di Ratisbona su fede e ragione. Parla di «grammatica trascendente», di «regole dell’agire individuale» e sociale secondo giustizia e solidarietà» che sarebbero «iscritte nelle coscienze», frutto del «sapiente progetto di Dio» sull’uomo. Per questo, insiste Benedetto XVI, le norme del diritto naturale «non vanno considerate come direttive che si impongono dall’esterno» ma «accolte come una chiamata a realizzare fedelmente l’universale progetto divino». È sul riconoscimento e sul rispetto di questo diritto che deve costruirsi il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e con i non credenti.