Il padrone in redazione

ll padrone in redazione, credo sia il titolo di un saggio di Giorgio Bocca e mai tale definizione è stata così puntuale come al giorno d’oggi. Lo sciopero dei giornalisti ha infatti dovuto fronteggiare, in particolare nei giornali legati al Presidente del consiglio, una brutale organizzazione del crumiraggio, giocata sul ricatto e sul supersfruttamento nei confronti dei redattori precari. Del resto, flessibilità e precariato costituiscono proprio il centro della vertenza. Gli editori vogliono imporre un’ulteriore estensione della Legge 30 nei giornali, rifiutando qualsiasi limite e regola rispetto all’utilizzo e alle condizioni del lavoro precario. Così lo scontro nelle redazioni dei giornali assume sempre di più le caratteristiche di una moderna vertenza industriale. Da un lato la lotta dei lavoratori per i loro diritti, dall’altro l’utilizzo spregiudicato dei contratti a termine e di tutte le forme di lavoro non tutelato, per rompere il fronte dell’iniziativa sindacale. Non ci deve stupire che questo oggi avvenga nel mondo dell’informazione e della carta stampata. Da tempo il liberismo e la tirannia del mercato operano per rompere ogni confine tra le condizioni dei lavoratori e per unificare tutto il mondo del lavoro verso il basso, nella condizione comune della precarietà. Oggi tutto il mondo del lavoro è precario, sono diversi solo i gradi e l’intensità dell’incertezza e dello sfruttamento. Ma da noi, questo fenomeno di carattere generale, ha una sua specifica connotazione.
La Confindustria governa la Federazione degli editori con una doppia mano, quella degli industriali proprietari dei principali giornali e quella della rappresentanza istituzionale. L’attuale presidente degli industriali è stato per anni a capo della Federazione degli editori, il suo successore appartiene alla stessa cordata politica e imprenditoriale. Il padrone è in redazione non solo virtualmente, ma in carne ed ossa e la durezza della vertenza dei giornalisti lo dimostra. Oggi comincia una trattativa decisiva per il contratto dei metalmeccanici. Anche qui il nodo centrale della vertenza è la flessibilità. In questo caso gli industriali, più che pretendere nuova precarietà, ne hanno già tantissima, vogliono ulteriore flessibilità negli orari. Si badi bene, una flessibilità che non solo deve rispondere alle esigenze delle aziende senza tener conto di quelle dei lavoratori, ma che, proprio per questo, non deve essere contrattata con le rappresentanze aziendali. Il presidente degli industriali metalmeccanici ha detto che vuole la flessibilità senza doverla sottoporre a quell’’inutile rito” della contrattazione aziendale. Pochi giorni prima il vicepresidente della Confindustria, utilizzando l’infelice conclusione della vertenza delle telecomunicazioni, ha più o meno fatto lo stesso discorso. I padroni vogliono la flessibilità e soprattutto non la vogliono discutere con nessuno. Quando poi questo attacco ai diritti si trasferisce nella stampa, l’aggressione alle nostre libertà è ancora più diretta.
Il giornalista precario, ricattato con il suo posto di lavoro, è più naturalmente portato a scrivere ciò che vuole il padrone che lo deve confermare. Così se nelle fabbriche metalmeccaniche i lavoratori precari vengono usati per indebolire gli scioperi per il contratto, nei giornali il precariato mette in discussione la stessa libertà dell’informazione. Il padrone in redazione, il lavoro a comando del padrone, questo è ciò che si vuole imporre nel nostro paese nel nome delle più brutali e sfacciate leggi del mercato. Per questo oggi è necessario che tutte le lotte contro la flessibilità del lavoro si riconoscano e si sostengano reciprocamente. Ne va di tutte le nostre libertà. E proprio la risposta a quest’attacco ai diritti fondamentali del lavoro, ciò che accomuna la vertenza dei metalmeccanici a quella dei giornalisti e che, più in generale, unisce tutte le lotte del lavoro oggi. Come dimostra il grande successo dello sciopero dei ferrovieri, anch’esso indetto contro la flessibilità selvaggia del lavoro, che qui distrugge l’essenza stessa del servizio pubblico. Le imprese vogliono mano libera sulle condizioni di lavoro, considerano un fastidio la contrattazione e tutto quello che essa comporta: la mediazione degli interessi, il riconoscimento che non ci sono solo i profitti e il mercato, ma anche i lavoratori e le loro condizioni, la stessa democrazia nei luoghi di lavoro.