IL NUOVO TRATTATO E LA DIFESA COMUNE

II prossimo dicembre, in occasione del Consiglio europeo, i governi dell’Unione europea dovrebbe firmare il “Trattato di riforma dell’Unione europea”, la cui bozza è stata approntata lo scorso ottobre a Lisbona dal vertice dei capi di stato e di governo. In questo modo i governi dell’Unione provano a far ripartire il processo “costituzionale” bloccato dalla bocciatura francese e olandese (1).
In realtà la bozza di “Trattato di riforma” non ha carattere costituzionale; anzi, ogni riferimento alla parola “Costituzione” è stato evitato, sia per superare le obiezioni dei paesi che non vogliono realmente sentir parlare di federazione europea”, sia per facilitare la strada delle ratifiche nei vari paesi, evitando il più possibile un dibattito pubblico aperto.
Il “Trattato di riforma”, infatti, non sostituirà ma modificherà i trattati esistenti (2) e la ratifica sarà fatta solamente nei parlamenti: in particolare il presidente francese Sarkozy ha escluso una futura consultazione popolare, come avvenuto in precedenza (con il risultato che sappiamo – contro il parere della maggioranza delle forze politiche). Anche i governi olandese e inglese hanno deciso di non promuovere referendum sul trattato: nel caso inglese la valutazione è quella di un testo profondamente diverso dal ‘Trattato costituzionale” e che lascia intatte le prerogative dei singoli paesi, in particolare in politica estera, della giustizia e fiscale. La scelta di una trattato più “soft” è stata presa per far avanzare l’Unione in alcune materie e per dare strumenti di “cooperazione rafforzata” ai paesi interessati. Rimangono aperte tutte le ambiguità sul ruolo che vuole avere l’Unione stessa, sia nei confronti dell’armonizzazione delle legislazioni interne, sia – soprattutto – sul suo “posto nel mondo”.
Vogliamo qui concentrare l’attenzione sulla parte del “Trattato di riforma” in materia di politica estera e della difesa.

UN PASSO INDIETRO
È utile al proposito fare un passo indietro.
La bozza di “Trattato costituzionale” dell’Unione europea poi accantonata prevedeva espressamente, tra le competenze dell’Unione stessa, anche “la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune”; una scelta già cominciata con il Trattato di Maastricht che prevedeva la costruzione di una politica estera e di “sicurezza” comuni, mentre il passo decisivo in tale direzione è stato preso nel Vertice del Consiglio Europeo di Helsinki del dicembre 1999, con la decisione di costituire la Forza europea di rapido intervento e “lo sviluppo di più efficaci capacità militari e la costruzione di nuove strutture politiche e militari per questi scopi”. Nel novembre del 2000 l’Unione europea ribadiva quella decisione come elemento centrale della cosiddetta Pesd [Politica europea di Sicurezza e Difesa).
Successivamente veniva elaborato il “concetto strategico” dell’Unione europea, che costituisce il riferimento della politica europea in questa materia.

Il “Trattato costituzionale” cercava quindi di delineare un quadra istituzionale e legislativo che rendesse sempre più stringente la definizione di politica estera e della difesa comuni. A questo scopo veniva nominato un vero e proprio “ministro degli Esteri” dell’Unione, mentre l’armonizzazione delle politiche militari passavano soprattutto attraverso il ruolo delI-Agenzia europea per la difesa” (vedi scheda].
Questa impostazione in materia di politica della difesa (Pesd) non viene sostanzialmente modificata dal “Trattato di riforma”, che però introduce norme che richiamano il ruolo prioritario dei singoli stati nella definizione della “Politica estera e di sicurezza comune” – che quindi continuerà ad avere un carattere intergovernativo e non sovranazionale. Un modo per evitare un nuovo stallo e che permette in particolare agli inglesi di mantenere le mani libere in materia.

LE NOVITA’ DEL TRATTATO
Per quanto riguarda la politica estera dell’Unione europea, la bozza di “Trattato di riforma” dichiara che “La competenza dell’Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune riguarda tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune”, riprendendo in sostanza quanto già prevedeva il “Trattato costituzionale”, mentre viene cancellato il riferimento precedentemente previsto secondo il quale “la politica di sicurezza e di difesa comune … condurrà a una difesa comune quando il Consiglio, deliberando all’unanimità, avrà così deciso”. In questo modo viene riportato alle prerogative dei singoli stati la scelta in materia, con una porta aperta (come vedremo successivamente] per una “cooperazione strutturata permanente” dei paesi interessati in materia di difesa.
Questo carattere intergovernativo della politica estera dell’Unione è ribadito anche in una dichiarazione della Conferenza intergovernativo che recita “… la Conferenza sottolinea che le disposizioni riguardanti la Pesc, comprese quelle relative all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il Servizio per l’azione esterna non incidono sulla base giuridica, sulle responsabilità e sui poteri esistenti di ciascuno stato membro per quanto riguarda la formulazione e la conduzione della sua politica estera, il suo servizio diplomatico nazionale, le relazioni con i paesi terzi e la partecipazione alle organizzazioni internazionali compresa l’appartenenza di uno stato membro al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite… le disposizioni che disciplinano la politica comune in materia di sicurezza e di difesa non
pregiudicano il carattere specifico della politica in materia di sicurezza e di difesa degli stati membri”
Questo riferimento al ruolo dei paesi dell’Ue membri permanenti (o temporanei) del Consiglio di sicurezza dell’Onu sembra andare nella stessa direzione, mettendo in primo piano il ruolo del singolo stato più che la scelta di un coordinamento delle politiche dell’Unione anche in sede di Nazioni unite.

ALTO RAPPRESENTANTE
Un’altra novità relativa introdotta daf”Trattato di riforma” riguarda la figura politico-istituzionale che dovrà guidare la politica estera dell’Unione. Il “trattato costituzionale” parlava di ministro degli Affari esteri dell’Unione, mentre oggi viene definito “Alto rappresentante per la politica estera e gli affari di sicurezza”.
Rispetto al Trattato costituzionale cambia il nome, ma non la sostanza. L’Alto rappresentante guiderà la politi~ ca estera, di sicurezza e di difesa dell’Unione come “delegato” del Consiglio d’Europa e allo stesso tempo sarà uno dei vicepresidenti della Commissione europea: scelta che serve a mantenere separati i ruoli di questi due organismi, pur con un certo coordinamento.
L’Alto rappresentante si servirà, nel suo lavoro, di un “Servizio europeo per l’azione esterna” formato da funzionari del Consiglio, della Commissione e da personale distaccato dai servici diplomatici nazionali: servizi che non sostituirà affatto, naturalmente, ma che affiancherà, cercando di lavorare in stretta relazione con loro.
In sostanza, per quanto riguarda la politica estera, la scelta prevista nel nuovo trattato cerca di proseguire sulla strada di una maggiore consultazione a capacità di “parlare una sola voce” senza per questo delineare un quadro legislativo e istituzionale che davvero trasformi l’Unione europea in un soggetto forte e capace di prendere una posizione comune di fronte agli altri soggetti internazionali. Le norme sulle prerogative che rimangono ai singoli stati e l’esclusione di un coordinamento stabile e vincolante per la partecipazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu stanno li a dimostrarlo. Tra le righe del progetto si leggono ancora le divisioni che hanno attraversato i paesi europei in questi anni.

DIFESA COMUNE
Per quanto riguarda la difesa e la “sicurezza” i passi previsti nel progetto di Trattato vanno nella direzione di un rafforzamento delle capacità militari comuni, mantenendo un riferimento chiaro al ruolo prioritario della Nato – come recita l’articolo 27.7, “Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa”.
Anche in questo caso non si tratta di novità sostanziali rispetto a quanto previsto nei precedenti trattati e nel progetto di “Trattato costituzionale”, che già avevano gradualmente condotto alla sostituzione della Ueo e alla costituzione di strumenti militari europei di vario tipo (3).
Le novità rilevanti da questo punto di vista hanno due caratteristiche fondamentali: da una parte si allargano le maglie per possibili interventi militari dell’Unione europea; dall’altro si prevede la possibilità che un gruppo di paesi della stessa Ue costituisca una cooperazione specifica sul piano militare, che possa poi essere utilizzata dall’Unione nel suo insieme.
Per quanto riguarda gli obiettivi e le motivazioni di possibili interventi militari dell’Unione europea, l’articolo 28.1 recita: “Le missioni … nelle quali l’Unione può ricorrere a mezzi civili e militari, comprendono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuì -re alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio” (corsivo nostro].
Finora il riferimento era sempre stato quello delle cosiddette “Missioni di Petersberg”, che comprendevano – secondo la formulazione ufficiale, le missioni umanitarie e di soccorso, le attività di mantenimento della pace e missioni di unità di combattimento nella gestione di crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace.
Con la nuova formulazione crescono le motivazioni di un possibile uso dello strumento militare da parte dell’Unione.
In particolare, come sottolineato dal nostro corsivo, viene esplicitamente previsto il “sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio”. In questo modo l’Unione potrà partecipare alla “guerra globale permanente” una volta che governi compiacenti e/o senza alcuna legittimità chiedano questo tipo di intervento – quindi anche al di fuori dei confini dell’Unione europea (l’esempio dell’Afghanistan viene facile).
A questo si aggiunge una clausola di solidarietà collettiva secondo la quale “Qualora uno stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni stati membri”. In questo modo si vogliono tranquillizzare da una parte i paesi neutrali e dall’altra, soprattutto, i paesi facenti parte della Nato.

COOPERAZIONE STRUTTURATA PERMANENTE Mentre dichiara in generale che “gli stati membri s’impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari”, e per questo si affidano in particolare al lavoro dell’Agenzia europea per la difesa, il “Trattato di riforma” innova sostanzialmente le disposizioni relative alle cosiddette “cooperazioni rafforzate” in materia di difesa.
Secondo i trattati vigenti un gruppo di paesi membri può, sulla base di date condizioni, sviluppare relazioni più strette tra loro in certi settori. Finora questo non era possibile per questioni militari e della difesa. Il “Trattato di riforma” da una parte non prevede più questa limitazione mentre prevede specificamente che nel settore della difesa gli stati membri che vogliono assumere impegni militari comuni più vincolanti e assolvano determinati criteri in termini di capacità militari possano costituire tra loro una specifica forma di cooperazione rafforzata, denominata “cooperazione strutturata permanente”.
Attraverso questa i paesi coinvolti – come segnala uno studio dell-Istituto affari internazionali” (lai) (4) -possono “conseguire elevate capacità militari operative attraverso “pacchetti” di forze nazionali e multinazionali; contribuire allo sviluppo di programmi comuni o europei di equipaggiamenti di vasta portata nel quadro dell’Agenzia per la difesa, incluso il conseguimento di obiettivi concordati riguardanti il livello delle spese per gli investimenti in materia di equipaggiamenti per la difesa. Il primo criterio venne collegato al concetto dei cosiddetti gruppi tattici o “battlegroups”, sviluppato agli inizi del 2004, il secondo all’Agenzia per la difesa e più in generale all’Obiettivo primario 2010 per le capacità militari”.
In questo modo viene sancita un sorta di “Europa della difesa a due velocità” e viene delegato ad alcuni paesi militarmente più strutturati l’azione in questa materia. A questo proposito è importante segnalare che il “Trattato” prevede espressamente che il Consiglio d’Europa possa affidare a un gruppo di stati membri che hanno determinate capacità militari la realizzazione di operazioni per conto dell’Unione europea. Inutile sottolineare che questi paesi sono in primo luogo già membri della Nato e a questa organizzazione rispondono per questa materia.
Il progetto di “Trattato di riforma” prosegue dunque sulla strada tracciata in questi anni, quella di un Europa armata”, con maggiori capacità militari che non arrivano alla costituzione di un esercito europeo autonomo e che si affianca alla Nato attraverso una specifica collaborazione e, soprattutto, in forma subalterna.

OPPORSI ALL’EUROPA ARMATA
In diverse occasioni, negli anni passati, il Forum soclale europeo ha chiamato alla mobilitazione contro l’Europa “liberista”. Anche in Italia si era sviluppata un’attenzione importante nei confronti del processo “costituzionale” europeo, anche se questo non aveva portato a pronunciarsi in un referendum, da una parte perché questo è impedito dalla Costituzione italiana (che lo vieta nei casi di ratifica di trattati internazionali) e dall’altra perché avrebbe messo in luce le divisioni nella sinistra su questo tema nel momento in cui si stava costruendo un’alleanza elettorale.
Oggi questa attenzione, nonostante il lavoro importante che continua nel movimento con la formulazione della “Carta de principi dell’altra Europa” (vedi “G&P” n.139), è decisamente sotto tono. Le giornate “europee” di Vicenza possono rilanciare questa attenzione, affinché non passi sotto silenzio e senza opposizione la scelta di una politica europea liberista e militarizzata.

NOTE
( l) Per un’analisi dell’insieme del progetto di “Trattato di riforma” vedi Pierre Khalka “Trattato di modifica dell’Ue: inaccettabile nel metodo e per il suo contenuto!”, www.italia.attac.org/spip/articie.php3?id_articie=1864
(2) Precisamente il “Trattato sull’Unione europea” (Tue) e il “Trattato di istituzione della comunità europea” che prende il nome di “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (Tfue): il primo è il trattato di Maastricht modificato da quello di Amsterdam e di Nizza: il secondo è quello di Roma successivamente modificato.
(3) Si vedano al proposito L’Europa, quella armata, “G&P” n.139 e l’articolo pubblicato in questo numero
(4) 1l nuovo Trattato di riforma dell’Ue e la politica estera e di sicurezza europea: cosa cambia?” www.senato.it/documenti/mpository/ lavori/ affariintemazionali/appmfondimend/ 78.pdf

L’Agenzia europea` per la difesa
L’Agenzia europea per la difesa (Aed) è stata istituita nel 2004 dal Consiglio europeo, sotto la cui autorità opera, “per sostenere gli stati membri e il Consiglio nei loro sforzi per accrescere le capacità di difesa europee nei campi della gestione delle crisi e per sostenere la ‘Politica europea di sicurezza e difesa’ in questo momento e negli sviluppi futuri”. 1 campi in cui opera l’Agenzia sono sostanzialmente quattro:
· lo sviluppo delle capacità di difesa dell’Ue – attraverso l’armonizzazione delle caratteristiche militari dei singoli paesi e delle istituzioni relative;
· la cooperazione in materia di acqui- szione e produzione di armamenti;
· il ratforzamento della base tecnologica e industriale della difesa a livello europeo e la creazione di un mercato europeo degli armamenti;
· la promozione di una maggiore efficacia del. settore ricerca e tecnologia (R&T) in materia di difiesa. Date le oscillazioni della “politica comune europea, anche in questa materia, l’Agenzia rappresenta in questo momento il luogo privilegiato, oltre che per il coordinamento degli strumenti militari dei singoli paesi e per la promozione dell’industria bellica europea, anche di elaborazione delle strategie politico-militari europee, come si può leggere nell’analisi prodotta dall’Agenzia stessa chiamata “Long-terra vision of European defence capabilities and needs” (1), che viene presa come riferimento per l’elaborazione del prossimo”concetto strategico” dell’Unione europea.
Nei giorni scorsi i ministri degli Esteri dell’Ue hanno sottoscritto un “Accordo quadro per strategie comuni in materia di ricerca e tecnoIoLie-, con I’obicttiw, secondo la dichiarazione del “ministro degli Esteri” dell’Ue Jm ier Solana (che è anche presidente dell’Agenzia) di “spendere di più, spendere meglio. spendere insieme”. Per questo sono previsti specifici obiettivi per la composizione dei bilanci della Difesa dei singoli paesi: – commesse per armamenti (incluse ricerca e sviluppo e ricerca e tecnologie): 20% delle spese per la difesa (dal 19,4% attuali);
– commesse comuni europee: 35% delle spese per commesse (dal 21% attuale);
– investimenti in ricerca e tecnologie, 2% delle spese militari (al 1,2% attuali);
– investimenti per ricerche comuni europee: 20% delle spese in materia di ricerca per la difesa (dal 10%0 attuale).
Tutto questo porterà certamente a ulteriori aumenti delle spese militari dei paesi dell’Unione europea anche nei prossimi anni, in linea con le scelte politiche che abbiamo descritto in queste pagine.

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