Al nuovo governo Prodi, che vedrà al suo interno per la prima volta ministri comunisti di Rifondazione, toccherà il gravoso compito di risanare l’economia italiana, per ridare ossigeno a quanti(sempre di più) non arrivano a fine mese, a quanti non hanno un lavoro o una casa. Si tornerà probabilmente a parlare di “competitività” per il rilancio dell’economia. Se per raggiungere questa agognata “competitività” si intendono gli investimenti produttivi importanti,da parte delle aziende anche in “capitale a rischio”, da parte della mano pubblica in formazione e ricerca, non possiamo che essere d’accordo. Siamo uno dei paesi industrializzati che spende meno in ricerca ed ora siamo in affanno: non reggiamo la concorrenza con chi traina, con l’eccellenza produttiva. Ma se invece, come ci ha insegnato l’esperienza delle ricette neoliberiste degli ultimi 20 anni (a suon di tagli alle spese sociali ed ai salari minimi), si intende per “competitività” la deregolamentazione del mercato del lavoro, la riduzione delle imposte sui redditi delle società, non siamo d’accordo. E’ necessario, da parte del nuovo governo, un cambio di rotta, supportato dalle iniziative popolari dei movimenti: il sostegno alla campagna per la scala mobile è un utile passo nelle nuova direzione. Infatti in questi anni i fanatici dei mercati finanziari hanno convinto ampie fette di opinione pubblica che il nemico, per i poveri, sia l’inflazione. Questa “lotta all’inflazione”, in Italia, non ha dato i risultati promessi:l’erosione e la compressione dei salari reali è sotto gli occhi di chiunque vada a fare una passeggiata la mattina al mercato. Si è scelto, in base a tali precetti, di preferire la lotta all’inflazione rispetto alla riduzione della disoccupazione. Invece il lavoro è (e rimane) per milioni di persone il principale mezzo di sostentamento, la principale misura di protezione sociale; più si amplia il numero di occupati, riducendo lo spettro dei disoccupati, più forte sarà la pressione al rialzo dei salari e dei diritti sociali. Un governo progressista, se tale si vuole definire, deve tenere conto di queste regole economiche, intrise anche di etica, ed agire di conseguenza, ripensando nuove forme di intervento della mano pubblica per controbilanciare le spinte verso la disuguaglianza. Qualcuno potrà obiettare: “ecco il solito comunista che propone modelli fallimentari”. Non è così: queste idee sono vincenti. In Europa potremmo prendere ad esempio i paesi scandinavi: questi mantengono alte protezioni sociali, che garantiscono il cittadino in ogni fase della vita e al contempo sono paesi nei primissimi posti nelle classifiche mondiali per la competitività economica. Se poi si replica, scetticamente, che i paesi scandinavi hanno più risorse economiche di noi, possiamo argomentare che in Italia i fondi ci sono: basta scegliere razionalmente dove spenderli, se nel rifinanziamento esoso delle missioni militari in giro per il mondo nei teatri di guerra o se investirli in stato sociale ed investimenti produttivi.
Abbiamo tanto da fare e molto probabilmente non basteranno i ministri comunisti: con il sindacalismo e con i movimenti dobbiamo incalzare il governo, fare legittime pressioni di massa che non potranno non giovare alla democrazia ed alla partecipazione popolare. Dobbiamo allargare il consenso intorno alle questioni della giustizia sociale e della pace e probabilmente costruire “nuovi soggetti politici” non basterà. Cambiare nome ed identità all’idea della Rifondazione Comunista, oggi, non sembra essere una “questione chiave”, ma solo la riproposizione di un sentiero già battuto da chi, sciogliendo il PCI, scelse la Bolognina. Tale percorso, seppur legittimo, ci sembra insufficiente, inadeguato, superato nei fatti. Il pregiudizio anticomunista, il”fattore K”, è ormai stato messo in soffitta e oggi più che mai, per il cambiamento vero, serve un Partito Comunista forte ed organizzato, al passo con l’attualità ed in sinergia con i movimenti che aspirano, come noi al cambiamento di rotta.