Il nuovo che avanza, da Beirut a Kabul

«E’ ora di un nuovo Medio Oriente» proclama il segretario di stato Condoleezza Rice, oggi a Roma. Inseguita dal no «alle sue condizioni» del governo libanese e del mediatore degli hezbollah Nabih Berri. Che vuol dire «nuovo»? A guardare il LIbano sotto le bombe, per l’Amministrazione Usa vuol dire «modello Falluja» e infatti piovono proiettili chimici sulle città libanesi. Ecco un «nuovo» esodo di centinaia di migliaia di disperati che fanno da bersaglio anche quando fuggono affolla le strade e corre verso la Siria. Nuovo vuol forse significare «modello Abu Ghraib» e infatti i militari israeliani allestiscono grandi campi di reclusione per i combattenti libanesi. Ancora, «nuovo» deve voler rappresentare il «modello Jenin» quello che Sharon ha già sperimentato nei Territori palestinesi occupati: terra bruciata e demolizioni di villaggi, quartieri, città. E’ il nuovo che avanza, macerie utilissime per il mercato delle ricostruzioni. E fa parte di quel «nuovo Medio Oriente» il fatto che, grazie alla guerra d’invasione dell’Iraq e alla sanguinosa occupazione militare, si è accresciuto il peso politico degli sciiti nell’area e il ruolo dell’Iran. E ancora «nuovo», vuol dire accondiscendere, fino al suicidio, alla solitudine criminale del governo israeliano in Medio Oriente.
Si apre la conferenza di Roma oggi ed è un pronunciamento dietro l’altro sull’invio di cosiddette forze d’interposizione «di pace». Naturalmente la pace è un’altra cosa, ma c’è chi vuole inviare forze Nato – che poi se Israele fosse nella Nato l’interposizione sarebbe già bella e pronta. Ma l’Alleanza atlantica, nonostante la Turchia, non è proprio amata, soprattutto per la sua direzione saldamente americana. C’è chi vuole inviare forze dell’Ue, ma di quali paesi senza un accordo almeno con gli hezbollah libanesi? C’è chi, come l’isolato segretario dell’Onu Kofi Annan sa che la Nato arriverebbe presto, ma preferisce i caschi blu. Magari con una nuova risoluzione, facendo finta di nulla sul fatto che le risoluzioni decisive dell’Onu sono state carta straccia per i governi israeliani. E che l’Unifil in questi giorni è stata presa a cannonate. Una cosa appare chiara. La Rice che prima non voleva il cessate il fuoco, adesso, visto che gli hezbollah combattono mettendo in discussione l’invulnerabilità d’Israele, lo pretende, insieme alla forza d’interposizione che vada subito a gestire il «lavoro sporco» nella fascia di sicurezza che le truppe israeliane hanno conquistato nel Libano del sud. Dove però hanno prima avvertito i civili. Come fanno i terroristi. Ma un volantino può tacitare le responsabilità nell’uccisione di centinaia di donne e bambini com’è accaduto nelle città libanesi, a Gaza e a Nablus? Già li chiamano effetti collaterali. A Tiro hanno allestito le prime fosse comuni. E’ il nuovo Medio Oriente. Partirà dunque quella che i giornali israeliani già chiamano «la prima guerra Israele-Iran»? Non c’è male come «nuovo». Sarebbe un abisso senza fine. Sarebbe l’apertura dell’inferno. Atomico.
Accade che non siamo ancora capaci di uscire dal pantano iracheno, dove tra i raid aerei americani e kamikaze che uccidono civili, gli sciiti in armi sfilano al grido di «hezbollah, hezbollah…». Nel settembre 1982, prima di Sabra e Shatila, non c’erano hezbollah, né Hamas. E non c’era nemmeno Al Qaeda.
E accade che non c’è rappresentanza al movimento della pace in parlamento. Se uno prova a dire no fino in fondo alla missione di guerra in Afghanistan, e a denunciare la menzogna che dice che lì andiamo a ricostruire il paese, mentre siamo nella linea di comando degli Usa dentro la Nato, ecco che è fuori dalla politica di stato. Ed è costretto a dimettersi. Ma può mai dimettersi da se stesso?