È un brusco risveglio. Appena chiuse le assise dei Ds e della Margherita verso la costituente del Partito democratico, si riapre la vicenda di Rahmatullah Hanefi e della guerra in Afghanistan che il governo si ostina a chiamare «missione di pace». I servizi di Kabul mandano a dire che non solo il responsabile di Emergency non sarà liberato, ma che rischia la pena capitale perché «responsabile della morte di Adjmal Nashqbandi», il giornalista interprete dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Gli contestano «di non averlo portato in salvo come pattuito, ma di averlo lasciato nelle mani dei talebani».
Ci troviamo di fronte ad una infamia. Basta riandare ai fatti per scoprire che i servizi di Karzai mentono sapendo di mentire. E’ stato Hanefi a mediare la liberazione di Mastrogiacomno e Adjmal, e lo stesso Mastrogiacomo ha testimoniato di avere assistito alla liberazione del suo interprete che sarebbe dovuto arrivare subito dopo di lui. È poi stato lo stesso Hanefi a mediare e a farsi portavoce delle nuove richieste dei talebani, ad assicurare quello che poi sarebbe stato il comunicato finale del governo italiano: «Tutte le condizioni sono state rispettate». È dunque colpa di Hanefi se, nonostante fossero state «esaudite tutte le richieste», i talebani hanno assassinato Adjmal? Ora si comprende quanto sia stato finora irresponsabile il silenzio scaricabarile del governo italiano per non andare ad una resa dei conti con Karzai.
L’obiettivo delle autorità afghane sembra essere quello di far pagare ad Emergency la sua stessa natura: quella di essere l’unica organizzazione umanitaria che opera in Afghanistan contro e oltre la guerra, con un insediamento concreto di presidi sanitari al servizio di tutti i più deboli. È per questo che Emergency ha minacciato di ritirare tutte le strutture ospedaliere. Colpire Emergency vuol dire tagliare i ponti con la società civile, lasciare sul campo solo lo spazio della guerra.
Ma c’è anche la beffa crudele. Per i servizi segreti di Kabul, Hanefi avrebbe messo a repentaglio la sicurezza nazionale e per questo non è prevista secondo l’ordinamento afghano l’assistenza legale. Ma non era proprio l’Italia da avere in Afghanistan l’incarico della riforma delle carceri, dei servizi segreti e della giustizia? Di che stiamo parlando se gli ordinamenti che ricostruiamo non prevedono la difesa per un caso così decisivo e vergognoso?
Davvero c’è materia perché Prodi e il ministro degli esteri Massimo D’Alema alzino la voce in difesa di Rahmatullah Hanefi, perché sia libero subito. Non può certo bastare limitarsi a chiedere che gli siano «garantiti i diritti». Quali, visto il comportamento di Karzai? Non vorremmo che la fase che si apre, quella delle magnifiche sorti e progressive del Partito democratico, sia contrassegnata da due eventi simbolici quanto inequivocabili: da una parte la partenza dei carri armati Dardo e degli elicotteri Mangusta (più mezzi e più uomini, almeno per farli «funzionare») e dall’altra il rientro degli ospedali di Emergency.