Il No francese rifiutò liberismo e ipocrisie

Il 29 maggio 2005 la Francia ha bocciato nel refertendum il Trattato costituzionale europeo. I grandi media e la maggior parte dei partiti politici avevano fatto campagna per il Sì. Ma la sinistra antiliberista era stata capace di unirsi favorendo in tal modo l’apertura di un vero dibattito pubblico per dire No a questa Europa liberista, ma Sì a un’altra Europa.
Il 25 marzo prossimo si compirà il 50esimo anniversario della firma del trattato di Roma. Nel 1957 il ricordo della guerra è sempre presente in una Europa in piena ricostruzione. L’istaurazione di un mercato comune tra sei paesi permettrà in primo luogo di esorcizzare i conflitti passati tra le nazioni del continente, in particolare tra Francia e Germania. Questo progetto si fonda principalmente sulla speranza di costruire uno spazio di pace duratura in Europa.
E arrivò il turbocapitalismo
Mentre il capitalismo era organizzato su una base essenzialmente nazionale, il Mercato comune era di fatto la coabitazione di mercati regolati nazionalmente, che disponevano di un dazio esterno comune. L’internazionalizzazione progressiva del capitale, fino alla mondializzazione neoliberista che si sviluppa a partire dagli anni ’80, sconvolgerà tutto.
In un nuovo contesto segnato dallo sprofondare del blocco dell’est, la deregolamentazione finanziaria e commerciale che porta alla libertà di circolazione totale dei capitali e alla generalizzazione del libero scambio, scuote la costruzione europea
L’ Atto unico del 1986, che mira a istaurare un mercato interno unificato, completato dai trattati di Maastricht e di Amsterdam, trasforma l’Unione europea in uno spazio privilegiato per il dispiegarsi delle politiche neoliberiste: politica industriale ridotta all’applicazione del diritto della concorrenza, gestione dura della moneta, competizione fiscale tra gli Stati, servizi pubblici rimessi in discussione in nome della concorrenza, smantellmento dei meccanismi regolatori dei mercati agricoli, dumping sociales, etc. Inoltre, la Ue promuove attivamente i nuovi orientamenti di liberalizzazione del commercio mondiale, sostenuti a partire dal 1995 dal Wto contro i paesi del Sud.
Questi orientamenti si aggiungono a un modo di costruire l’Unione europea da cui i popoli sono di fatto assenti. Il funzionamento della Ue rivela un profondo deficit democratico, segnato dalla confusione dei poteri, l’opacità e l’esclusione dei suoi «cittadini» dal processo decisionale.
Se l’aumento di potere del parlamento europeo rappresenta un progresso democratico, siamo ancora molto lontani da un parlamento che giochi pienamente il suo ruolo.
Quale democrazia?
Un certo numero di temi, e non dei meno importanti, sfuggono all’europarlamento: non ha il potere di proporre leggi, e il suo ruolo rispetto al bilancio (budget) comunitario è minimo. Inoltre manca un reale spazio pubblico europeo, che potrebbe permettere ai popoli e ai movimenti sociali di far sentire la loro voce; anche se, come hanno mostrato le mobilitazioni sociali e civili di questi ultimi anni, e recentemente sulle direttive dei porti e la Bolkestein, la situazione ha una evoluzione positiva: la necessità di intervenire sul piano europeo è sempre più presente nella strategia dei movimenti.
La maggior parte dei governi dell’Unione si adattano molto bene a questa situazione, che restringe molto la responsabilità politica dei parlamenti nazionali. Li vediamo praticare un doppio discorso quasi sistematico – e i governi francesi sono diventati esperti in materia – con l’adozione a Bruxelles di direttive per le quali dopo, nei propri paesi, si affannano ad attribuire la responsabilità all’«Europa», che viene in tal modo caricata di tutti i mali.
A tale Europa dicemmo no
E’ questa Europa neoliberista e antidemocratica che è stata rifiutata nel referendum francese sul Trattato costituzionale europeo. Si poteva pensare che questo rifiuto avrebbe contribuito a creare una presa di coscienza salutare e spingere i governi europei e la Commissione Ue ad aprire un vero dibattito pubblico sull’avvenire dell’Unione. Non è stato così. La Commissione ha continuato a presentare progetti gli uni più ultraliberisti degli altri, il più recente è il «Libro verde» sul diritto del lavoro che preconizza una flessibilità a 360 gradi. I progetti di rilancio si scambiano tra le Cancellerie, senza che si organizzi il minimo dibattito pubblico, dato che tutti aspettano che passino le elezioni francesi per rimettere in cantiere il Trattato costituzionale Ue e concluderlo prima delle elezioni europee del 2009.
In questa situazione le associazioni, i movimenti sociali, il movimento sindacale hanno una notevole responsabilità: quella di far intendere le loro voci e di mobilitare i popoli di Europa. Mentre i governi e le istanze europee rifiutano di organizzare il minimo dibattito pubblico, e questo resta confnato nei circoli istituzionali, spetta a loro lanciarlo e organizzarlo insieme su scala dell’Unione.
Cambiare alla radice
Uscire dalla crisi significa in primo luogo cambiare radicalmente il metodo. La costruzione europea è stata finora essenzialmente affare dei governi. Deve diventare affare dei popoli, delle cittadine e cittadini d’Europa che devono poter decidere direttamente del loro avvenire.
E’ con queste considerazioni che abbiamo elaborato un progetto di «Carta dei principi per un’altra Europa». Impegnandoci, da oltre due anni, in questo lavoro che si situa nello spazio politico creato dal processo del Forum sociale europeo, facciamo la scommessa che sia possibile costruire una cultura politica comune in Europa.
Questa cultura deve poggiare sulle esperienze e le mobilitazioni sociali esistenti sul piano nazionale, ma deve mirare ad andare oltre, per renderle più efficaci nella lotta contro le politiche liberiste che si sviluppano a livello internazionale e in primo luogo a livello europeo. Si tratta anche di dimostrare che queste politiche liberiste non sono un destino, e che possiamo opporre loro principi che metteranno i popoli non più in competizione gli uni con gli altri, ma alcontrario in una logica di solidarietà, di uguaglianza, di condivisione della ricchezza per permettere ad ognuno e ognuna di vivere in un mondo dove finalmente i diritti fondamentali saranno rispettati.

* Union syndicale Solidaires