Il negazionismo sale in cattedra a Teramo

Una università pubblica, quella di Teramo, un convegno a cui sono chiamati a discutere giuristi, storici e giornalisti su «La storia imbavagliata» in cui compare in teleconferenza il negazionista Robert Faurisson. E un parterre che vede assieme il direttore della rivista «EuroAsia», un opinionista di Al Jazira (Samir Al Qaryouti), uno studioso israeliano (Israel Shamir), uno studioso palestinese (Wassim Dahmash). Tutti personaggi che nel recente passato sono stati spesso accusati di esprimere posizioni antisemite o, come per Israel Shamir, antisioniste.
La storia da sbavagliare, per gli organizzatori, è infatti quella relativa alla Shoah, di cui si mettono in dubbi le griglie interpretative fin qui acquisite, condannando una sorta di liturgia della sterminio che inibisce il lavoro di indagine storiografica. Insomma, si rivendica una libertà di ricerca soffocata da un generico pensiero dominante che ha istituito una «teologia dell’Olocausto» propedeutica a legittimare il ruolo di Israele nell’ordine politico in Medio Oriente. A sostegno di questa tesi si fa riferimento alle diverse leggi nazionali e a una proposta di direttiva europea di equiparare la negazione della Shoah a reato. Leggi e direttiva lesive, sempre secondo gli organizzatori, della libertà di opinione.
Immediata la reazione dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane, che per bocca del suo presidente, Renzo Cattegna, ha espresso «tutta l’amarezza e la preoccupazione per come sia passato sotto silenzio il fatto che una prestigiosa istituzione culturale come l’Università di Teramo abbia organizzato e ospitato nei giorni scorsi un convegno che intendeva sostenere la legittimità delle posizioni negazioniste». Ma ciò che il comunicato dell’Unione delle comunità ebraiche sottolinea è la gravità del fatto che all’incontro abbiano partecipato anche «storici seri», di cui non si possono condividere le analisi storiche, ma che, continua il comunicato, «sappiamo estranei alle bugie dei negazionisti». La loro partecipazione al convegno è «una legittimazione di «posizioni politiche razziste che sono estranee al consenso democratico».
Il riferimento di Gattegna è agli studiosi come Angelo D’Orsi o a Domenico Lo Surdo che sono intervenuti con loro relazioni all’iniziativa organizzata dal master «Enrico Mattei in Medio Oriente» tenuto da Claudio Moffa, molto noto tra i negazionisti per il suo corso .
Il programma del convegno è dunque relativo a come la storiografia ha studiato la Shoah, rivendicando una libertà di ricerca che nessuno, però, ha mai messo in dubbio. Il terreno friabile su cui invece si è colloca è la battaglia contro il negazionismo.
Da questo punto vista, il convegno cerca infatti la sua legittimità in quell’appello in cui la quasi totalità degli storici italiani chiedevano al parlamento di non perseguire penalmente chi nega la Shoah. Una ricerca di legittimità «pelosa», visto che nessun dubbio, in quell’appello, era espresso sulla esistenza delle camere a gas o sul numero degli ebrei sterminati. Semmai era pacatamente affermata la convinzione che la battaglia contro il negazionismo non dovesse essere condotta nelle aule dei tribunali e che non potesse essere imposta per decreto una «storia di stato». Nel testo di presentazione del convegno viene invece operato un vero e proprio corto circuito tra libertà di ricerca contro la «storia di stato» e libertà di negare la Shoah, in nome della libertà di espressione.
Tutte le sessioni di lavoro hanno infatti evocato una sorta di interdizione alla libertà di insegnamento e di espressione che condurrebbe a impedire di criticare la politica dello stato di Israele nei confronti dei palestinesi. Così si poteva scorrazzare dalla sessione sulle leggi sul negazionismo in Europa alla libertà di insegnamento, dai delitti d’opinione al totalitarismo giudiziario, dalla teologia dell’Olocausto alle radici dello Stato di Israele.
Operazione dunque politica, che poco aiuta i palestinesi, mentre legittima posizioni negazioniste e antisemite. Che il revisionismo storico e il negazionismo non siano da combattere nelle aule dei tribunali è cosa certa. Come cosa certa è non legittimarle partecipando a un convegno in cui sia presente un personaggio come Robert Faurisson, che con una operazione mimetica è passato dalla negazione delle camere a gas a posizioni più sfumate che hanno portato a qualificarlo come a un «negazionista in doppio petto».