«Il muro sarà il nuovo confine di Israele»

Alla fine la verità è emersa, in tutta la sua drammaticità e importanza. Chiarendo ulteriormente i contenuti del suo piano di «separazione» unilaterale dai palestinesi, il premier israeliano Ehud Olmert ha ammesso, ma forse è più giusto dire che ha confessato, che il «muro» in costruzione avanzata in Cisgiordania diventerà, con qualche aggiustamento, il confine orientale dello Stato ebraico. È la prima volta che un capo di governo israeliano parla del muro come di un confine e, quindi, pone termine a tre anni di descrizione della barriera «come difesa dei cittadini dai kamikaze palestinesi che potrebbe essere abbattuta in futuro». «Ci riuniremo dietro la linea della barriera. Gerusalemme rimarrà unita. I blocchi centrali d’insediamenti verranno mantenuti e ampliati. Alla fine del processo raggiungeremo una separazione completa dalla maggior parte della popolazione palestinese», ha detto Olmert al quotidiano Maariv. «Il tracciato della barriera verrà aggiustato lungo la nuova linea dei confini definitivi – ha spiegato ad un altro quotidiano, Ha’aretz – potremmo spostare la barriera a est, in alcuni casi a ovest… sarà un passo cruciale per dare ad Israele la forma di uno Stato ebraico, nel quale vi sarà una solida e stabile maggioranza ebraica».

Concedendo interviste a raffica, ha spiegato che l’obiettivo del suo partito, Kadima, e del futuro governo, quello che nascerà dopo le elezioni del 28 marzo, è di evacuare gli insediamenti isolati e di «raccogliere» i coloni ebrei in zone omogenee sul versante israeliano del muro. Nel 2010 sul versante palestinese non ci saranno più coloni ma l’occupazione continuerà perché reparti militari sorveglieranno un’altra fascia di sicurezza di Israele: la Valle del Giordano. «Se Hamas non accetterà le condizioni avanzate dalla Comunità internazionale, il mio governo non si sentirà vincolato», ha detto Olmert ben sapendo che il movimento islamico non riconoscerà Israele. Il premier non vuole perdere tempo, intende sfruttare fino in fondo il pretesto della presenza di una Anp controllata da Hamas per realizzare il suo piano unilaterale, anche se Olmert parla di politica «concordata» con contatti internazionali e di dialogo con il movimento dei coloni. Insomma, con tutti tranne che con i palestinesi. Il futuro della Cisgiordania si annuncia nero, la vita per i civili palestinesi diventerà un inferno in una grande prigione senza tetto, chiusa a ovest dal muro, ad est a ridosso del Giordano dall’esercito (e forse un’altra barriera) e pattugliata in lungo e in largo dalle forze di occupazione. Israele peraltro manterrà il controllo sul territorio palestinese fra Gerusalemme est e la colonia di Maaleh Adumim, lungo la superstrada che scende verso Gerico e il Mar Morto: lì costruirà migliaia di abitazioni per israeliani.

La Cisgiordania si troverà tagliata in due tronconi ed è evidente che questo progetto è volto anche ad impedire la nascita di uno Stato palestinese territorialmente omogeneo e sovrano. Olmert non lo ha detto ma nella sua testa lo Stato di Palestina sono i 360 kmq della Striscia di Gaza. Ad Ha’aretz che gli ha chiesto: «Come sarà Israele fra quattro anni?», il premier ha risposto: «Diventerà uno stato dove sarà divertente vivere». I palestinesi invece abiteranno in un enorme carcere. È folle pensare che una popolazione di 3,5 milioni in forte crescita demografica, senza risorse e possibilità di sviluppare l’economia, senza controllo dei confini, costretta a dover superare ogni giorno decine di controlli e posti di blocco, non si ribelli e resti a guardare. Quando esploderà non si sa, ma senza dubbio Olmert sta creando le condizioni per una terza Intifada.

«Questo non è un piano di pace, ma una dichiarazione di guerra», ha detto il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal. «Israele continuerà a occupare la parte più consistente della Cisgiordania, a mantenere il muro e gli insediamenti ebraici, a rifiutare ogni concessione su Gerusalemme e il diritto al ritorno per i profughi palestinesi. Questo è un disimpegno unilaterale, nell’interesse della propria sicurezza e non delle richieste di pace», ha aggiunto. Ma critiche sono giunte anche da esponenti israeliani. Il leader laburista Amir Peretz ha affermato che un’azione unilaterale sarebbe «un errore» e ha esortato all’apertura di colloqui con Abu Mazen.