Il Muro avanza a Baghdad. L’ultima illusione americana

Amman Alle continue violenze quotidiane nella capitale irachena, le forze armate americane stanno rispondendo con la costruzione della grande muraglia. Il progetto rientra nel nuovo piano di sicurezza per la capitale e prevede la costruzione di muri per proteggere interi quartieri dalle violenze settarie. Ma scetticismo e preoccupazione sono presenti tra gli iracheni, e alcuni leader politici si rifiutano di sostenere il progetto perché temono che la separazione fisica porti all’esasperazione del conflitto.
Baghdad vista dall’alto deve sembrare un labirinto di cemento armato, controllato da posti di blocco, circondata da filo spinato, senza più ponti, e con il fiume Tigri che sta scomparendo. Dopo la costruzione della green zone, che doveva servire a difendere il cuore del potere, con le sue ambasciate, i ministeri, la sede governativa, il resto della città (denominato red zone) verrà ora sottoposto ad un intervento di riassetto urbanistico: interi quartieri verranno completamente chiusi, sigillati dentro delle muraglie di cemento, allo scopo di «proteggere la popolazione dagli attacchi armati». Secondo il generale David H. Patraeus, che ha formalmente preso il comando delle forze armate americane il 10 febbraio 2007, la missione «è dura ma non disperata». Per il generale la costruzione di mura con blocchi di cemento per isolare alcune aree di Baghdad, è il solo modo per proteggere la popolazione dalle infiltrazioni degli squadroni della morte e per arginare il conflitto armato. Sembra quasi che l’arrivo improvviso a Baghdad il 19 aprile del segretario Usa alla difesa Robert Gates, che ha incitato i leader iracheni ad accelerare il processo di riconciliazione nazionale e a creare un ambiente favorevole al contenimento delle violenze, abbia trovato un suo seguito.
Ma non tutti la pensano così. La capitale irachena, fondata al tempo degli Abbasidi e ricostruita in epoca moderna, è oggi considerata una prigione dalla maggior parte degli iracheni, per via della difficoltà degli spostamenti nel raggiungere gli ospedali, le scuole, le università, il posto di lavoro. Ed ora temono che queste muraglie non potranno fare altro che peggiorare le condizioni di mobilità, creando zone «franche» dentro aree insicure, ed aumentare la percezione delle differenze etnico- confessionali. Nel piano di costruzione delle mura di cemento sono inclusi alcuni quartieri della capitale, a cominciare da quello sunnita di Adhamiya, dove la 407° compagnia dell’82° brigata delle forze armate americane è al lavoro dal 10 aprile per la costruzione di un recinto di cemento che avrà una lunghezza di 6 chilometri e un’altezza di 3 metri.
Il muro è fatto di blocchi di cemento, ognuno del peso di 7 tonnellate. Mentre ad Adhamiya si scava, altre muraglie sorgeranno prossimamente nei quartieri di al Almeria, di al-Dora (dove esiste la comunità cristiana più numerosa) di al-Adel, di Sadr City e altre ancora si aggiungeranno a seconda delle condizioni di sicurezza. Non esiste però nel piano di costruzione una data per lo smantellamento di queste strutture di cemento, e ciò lascia presagire tempi epici. In realtà queste prigioni di cemento, che dovrebbero teoricamente servire a proteggere i quartieri, sono il terrore delle comunità, che temono di essere isolate o di diventare bersaglio di attacchi armati.
Di fronte a tutto questo, la comunità di Adhamiya si ribella: da pochi giorni è partita una campagna di raccolta firme contro la costruzione del muro. Il capo del consiglio cittadino di Adhamiya, Dawood Al-Adhami, ha recentemente dichiarato che quando le forze armate Usa si sono presentate nel quartiere con la richiesta di firmare i documenti del muro, si è personalmente opposto, spiegando che avrebbe dovuto prima interpellare la comunità. Il venerdì successivo, durante la preghiera, il consiglio e tutta la comunità di Adhamiya si sono rifiutati di firmare i documenti e di appoggiare il piano. Nonostante questo, le forze armate americane hanno cominciato ugualmente i lavori.
Sul piano politico, il leader del fronte arabo-sunnita Al-Tawafaq ha dichiarato che la «costruzione del muro è un disastro per tutti. Significherà isolare quest’area dal resto della città, aumentando i rischi e le tensioni tra le fazioni sciite e sunnite». E’ della stessa opinione anche il parlamentare del Fronte iracheno per il dialogo nazionale, Mohammed al-Daini, che invita il governo e gli americani a riconsiderare il progetto in quanto comporterebbe una «netta separazione degli sciiti dai sunniti. La stessa distruzione del ponte di Sarrafiya, il 12 aprile, portava già con sé questo pericolo, di dividere la città in due parti, quella di Al-Kark da quella di Al-Rasafa”.
Anche l’imam della moschea di Adhamiya, Shaik Saad Al-Ubaidi, ha espresso la sua preoccupazione, sostenendo che ci potrebbero essere alternative diverse prima di arrivare ad una soluzione così radicale, che porterebbe solo ad allontanare l’avvio di un vero percorso politico di riconciliazione nazionale e lo smantellamento all’interno delle forze armate delle milizie, che sono «il vero problema nella nostra società«. Per lo stesso imam, i muri non servono, perché «i vicini non ci hanno mai attaccato, anche se sono sciiti. Nessuno invece è mai intervenuto quando sono state le milizie ad aggredirci». Il problema delle milizie rimane ancora aperto, e se il premier Al-Maliki sosteneva che dovrebbero essere integrate nelle forze armate, gli Stati uniti avrebbero chiesto di scioglierle. Sta di fatto che oggi le milizie dominano le forze di polizia, e nessuno tra i civili ha più fiducia nell’esercito iracheno e ancor meno nella polizia. Apparentemente sarà proprio quest’ultima, assieme alle forze armate americane, a gestire i posti di controllo all’ingresso delle muraglie, dai quali transiteranno tutte le persone in entrata e in uscita dai quartieri.
Sia il responsabile della sicurezza per il ministero degli interni che il portavoce del ministero della difesa assicurano che il piano porterà alla fine del terrorismo nella capitale e che non sarà sospeso fino a quando non si sarà «rivelato efficace». Intanto gli iracheni di Adhamiya, che temono un rialzo improvviso dei prezzi, stanno facendo scorte di generi alimentari e di prima necessità.
La questione della sicurezza risolta con la costruzione di muraglie rimanda ad una superata concezione della risoluzione della guerra, che abbiamo già visto, e che porterà nell’immediato grossi problemi nell’economia interna, oltre che tensioni sociali, e inasprimento della convivenza tra le comunità. Per i vertici statunitensi ancora una volta isolare le comunità l’una dall’altra, murare le persone dentro le proprie case, appare essere l’unica alternativa. E se non dovesse funzionare? Quale sarà il prossimo passo?