Il Mezzogiorno disoccupato

Nel quarto trimestre del 2005 la dinamica dell’occupazione ha registrato un forte rallentamento: +56 mila gli occupati rispetto all’ultimo trimestre del 2004. Secondo i dati Istat, la creazione di nuovi posti di lavoro interessa solamente il Centro-Nord. Al Sud, invece, l’occupazione seguita a diminuire: 38 mila gli occupati in meno, ma soprattutto si segnala la scomparsa di 118 mila persone dal numero delle forze di lavoro. Per quest’ultimo dato negativo possono essere date varie interpretazioni: a) i lavoratori scoraggiati si ritirano dal mercato del lavoro; b) è ripreso alla grande il fenomeno del lavoro nero; c) prosegue la tendenza all’emigrazione. Anche rispetto al trimestre precedente, l’occupazione (i dati questa volta sono destagionalizzati) registra un incremento di 56 mila unità e in questo caso va un po’ meglio per il mezzogiorno con un incremento di 19 mila posti di lavoro. Il recupero congiunturale dell’occupazione nel quarto trimestre dell’anno (+0,2%) «appare diffuso a livello territoriale e settoriale – spiega l’Isae – ma risente ancora della spinta proveniente dalle regolarizzazioni dei cittadini stranieri». La regolarizzazione dei cittadini stranieri, aggiunge l’Isae, è riflessa dall’anomalo andamento degli occupati uomini e dalla lieve contrazione del rapporto tra occupati e popolazione. L’immigrazione, anche per la Cgil, è uno dei motivi che spiegano l’aumento dell’occupazione. Al netto dell’immigrazione, l’occupazione, secondo l’analisi della segretaria confederale Marigia Maulucci, sarebbe «a crescita zero». Anzi, correlando i dati diffusi da Bankitalia (sulle unità di lavoro) la Cgil stima che nel 2005 si siano persi «ulteriori 90 mila posti di lavoro. Ulteriori vuol dire in aggiunta a quelli persi negli anni precedenti, per un totale che si aggira intorno alle 200 mila unità». Insomma, per la Cgil, l’aumento dell’occupazione è solo una «perversione statistica». Anche dalla Cisl arrivano osservazioni critiche sui dati Istat. Per il segretario confederale Raffaele Bonanni «i dati testimoniano che il tasso di occupazione è più che mai fermo. Il saldo rimane negativo, come dimostra peraltro il dato sul Mezzogiorno. In un paese che ha una crescita vicina allo zero, con una produzione industriale che si riduce sempre più, i consumi rimangono fermi, non c’è da farsi illusioni che ci siano segnali di dinamismo sul fronte occupazionale». Tornando ai dati Istat, a fine 2005 gli occupati ammontavano a 22,685 milioni, dei quali circa il 50% al Nord. Un po’ meno di 2 milioni i disoccupati collocati per oltre il 54% al Sud. Il tasso di disoccupazione all’8% totale, oscilla tra il 4,7% del Nord e il 14,2% del Sud (dove «misteriosamente» è diminuito dello 0,8% su base annua pure in presenza di diminuzione degli occupati). Come al solito il Sud è anche penalizzato sul fronte dei tassi di attività maschili, ma soprattutto femminili. Un solo dato: nel Nord-Est il tasso femminile si colloca al 59,3%, nel Mezzogiorno precipita a 38,4%. Altro dato interessante, ma preoccupante per la qualità del lavoro, è quello che riguarda gli occupati dipendenti a tempo parziale: alla fine dello scorso anno erano 2,233 milioni, 149 mila in più (+7,1%) rispetto al 2004. In totale il 13,4% dei dipendenti lavora part-time e la percentuale sfiora il 26% per le donne. La conferma di questi dati si ha dalle ore lavorate: il 18,3% degli occupati lavora meno di 30 ore settimanali e il 2,1 meno di dieci ore. Per le statistiche basta un’ora di lavoro per essere considerati occupati. In crescita anche il numero dei dipendenti precari, cioè a termine. In totale sono 2,121 milioni (1,01 milioni maschi e 1,2 milioni donne) 159 mila (+8,1%) in più rispetto al 2004. Il 12,7% di chi lavora ha contratti a termine (58,1% in agricoltura) e come al solito sono le donne (15,6% sul totale) anche se è in forte crescita (+11,2% nell’anno) la componente maschile che lavora a termine.