Dopo l’indiscutibile successo della manifestazione del 4 novembre contro la precarietà, eravamo in molti ad augurarci che il governo sarebbe tornato sui propri passi rivedendo a fondo le decisioni consegnate nella prima stesura della Finanziaria.
Oggi, alla luce dell’ultimo atto formale precedente il voto della Camera, dobbiamo riconoscere che quell’auspicio era infondato. Dopo un defatigante avvio del dibattito parlamentare, il governo ha depositato un maxi-emendamento monstre (un articolo con 830 commi e una cinquantina di tabelle) che riscrive buona parte della manovra, vanificando il lavoro delle Commissioni e in molti casi violando accordi già raggiunti in seno alla maggioranza.
Ben presto bisognerà parlare di questo modo di procedere, che concentra l’intero processo di formazione delle decisioni nelle mani dell’esecutivo (a cominciare dalla presidenza del Consiglio e dal ministero dell’Economia) mortificando il Parlamento e confermando nei fatti una deriva autoritaria contro cui, a parole, tutto il centrosinistra ha tuonato nel corso della passata legislatura. Ma adesso concentriamoci sugli aspetti di merito relativi alla questione della precarietà.
C’è una buona notizia. Recependo un’istanza avanzata in Commissione Lavoro dalla sinistra dell’Unione, il governo ha dato via libera alla stabilizzazione del personale assunto con contratti a termine nelle regioni e negli enti locali e ha accolto la richiesta di riservare ai co.co.co. già in servizio almeno il 60 per cento delle nuove assunzioni a tempo determinato in queste amministrazioni. Ma gli aspetti positivi si fermano qui, il resto è un paesaggio sconfortante.
Sulla scuola si sono mantenute sia la misura che innalza il rapporto docenti-studenti (che comporterà una perdita di circa 20mila cattedre), sia la decisione di revocare a partire dal 2010 la validità delle graduatorie degli insegnanti non strutturati. Il tutto a fronte di un programma di assunzioni che pianifica un taglio di oltre 100mila unità nel prossimo triennio al netto dei circa 260mila pensionamenti previsti. Sull’Università e gli Enti di ricerca le cose stanno, in proporzione, ancora peggio, anche perché negli Enti – nonostante lo sciopero di venerdì – permane il blocco delle assunzioni per il 2007.
Incalzato dalle proteste di direttori scientifici, rettori e figure di prestigio del mondo della ricerca, il governo ha concesso qualche soldo in più al settore, arrivando a uno stanziamento complessivo di circa 230 milioni di euro per la stabilizzazione di circa 3mila ricercatori. Si tratta di valori stellarmente distanti dai bisogni effettivi, che parlano di almeno 25mila assunzioni come base di partenza per la stabilizzazione di un esercito di precari costituito da almeno 60mila persone.
Se poi varchiamo la soglia dei veri distretti della precarietà, a cominciare dai call-center, c’è da trasecolare. Avevamo chiesto al governo di modificare la sanatoria contributiva, fiscale e penale concessa ai datori di lavoro (anche a quelli raggiunti da provvedimenti giudiziari) in cambio della regolarizzazione del sommerso e della stabilizzazione dei co.co.pro. Avevamo fatto presente che i benefici della sanatoria non possono riguardare anche le posizioni lavorative non regolarizzate e che l’eventuale mancato (o parziale) versamento del dovuto da parte del datore di lavoro dovrebbe impedire l’estinzione dei reati penali previsti dalle leggi in materia contributiva.
Non c’è stato nulla da fare.
Non è stata accolta nemmeno la richiesta (concordata col governo) di condizionare la sanatoria alla stabilizzazione dei co.co.pro., cioè alla loro assunzione a tempo pieno e indeterminato. Non parliamo poi di una pretesa che, dati i tempi, dev’essere apparsa esorbitante: quella di inserire in Finanziaria l’obbligo di corrispondere ai lavoratori a progetto un salario «proporzionato alla qualità e quantità del lavoro» e comunque sufficiente ad assicurare «un’esistenza libera e dignitosa», secondo quanto disposto dalla Costituzione sovietica della nostra Repubblica.
Sarebbe troppo lungo elencare qui le ragioni di tutto questo, ma certo non è accettabile che il governo scarichi ogni responsabilità sulla gravosa eredità ricevuta dalla destra. Pesano anche le sue opzioni: la priorità del «risanamento», la pervicace fiducia nel modello neo-liberista, la determinazione a dispensare cospicue risorse al militare-industriale e nuove regalìe ai padroni, aggiungendo al taglio del cuneo fiscale e alle compensazioni per il Tfr anche la riduzione dei premi Inail per l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, e questo in un Paese in cui si continua a morire sul lavoro al ritmo di quattro vittime al giorno.
Mentre il governo presentava il maxi-emendamento, Prodi ha dichiarato che questa Finanziaria ha «invertito la rotta» e che il Paese è ora finalmente in condizione di crescere. Speriamo che le esigenze della propaganda cedano il passo a più sobri bilanci. E che al Senato il governo colga l’ultima occasione per porre rimedio ad errori niente affatto veniali.
*Deputato di Rifondazione Comunista