Il Mare Nostrum di cemento

Un mare di cemento tra vent’anni potrebbe sommergere oltre metà delle coste del Mediterraneo. Già oggi gli insediamenti urbani hanno cancellato più di 20mila chilometri tra spiagge e rocce, estuari e delta: 584 il numero delle città presenti sul litorale dei 21 paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, a cui aggiungere 750 porti turistici e 286 commerciali, 13 impianti di produzione di gas, 55 raffinerie, 180 centrali termoelettriche, 112 aeroporti e 238 impianti per dissalazione delle acque che occupano il 40 per cento del territorio costiero.
A lanciare l’allarme è l’Unep-Map, il Programma ambiente Mediterraneo dell’Onu, con un documento elaborato dal Plan Bleu e presentato pochi giorni fa al Parklife di Roma da Paul Misfud, coordinatore di questo programma per le Nazioni unite. Ha sottolineato che il Mediterraneo, pur ricoprendo solo lo 0,8 per cento della superficie acquatica terrestre, contiene il 7 per cento di tutte le specie marine conosciute al mondo, una esplosione di vita che fa rientrare la regione tra i 25 siti più interessanti a livello mondiale per presenza di biodiversità. Eppure non esistono tutele a protezione di tale patrimonio.
Ogni anno spariscono dai 30 centimetri ai 10 metri di litorale sabbioso e Italia, Spagna e Grecia, le cui spiagge si sono ridotte del 40 per cento in cinquant’anni, sono le prime nella lista nera. Una delle cause di questa erosione sarebbe da attribuire alla presenza dei 750 porti turistici che hanno ridisegnato la linea costiera mediterranea provocando modifiche delle correnti marine. Un business, quello ricreativo, che tende ad aumentare e in cantiere ci sono già altri 43 scali per navi da crociera, yatch e imbarcazioni private dislocati soprattutto tra Grecia e Turchia. Eppoi ci sono i porti commerciali: solo 46 su 286 sono attrezzati per raccogliere i rifiuti delle imbarcazioni in transito, tutto il resto viene «comodamente» smaltito in mare.
Cresce sempre più anche la popolazione che preferisce trasferirsi a vivere lungo le coste: una stima che prevede per il 2025 l’arrivo di altri 20 milioni di abitanti che ammireranno il mare Nostrum dalle loro case, e che si aggiungeranno ai 70 milioni censiti nel 2000. Nel 1950 ogni chilometro lineare di costa mediterranea era abitato da 580 persone, tra vent’anni saranno 1.970 a cui si aggiungerà il flusso turistico di 312 milioni di persone che sceglieranno i litorali per trascorrere le vacanze. Da uno studio condotto nelle isole Baleari risulta che un turista produce mediamente il 50 per cento in più di rifiuti rispetto a un residente e nella stagione turistica il consumo di acqua potabile aumenta del 45 per cento.
Inevitabilmente, insieme alle colate di cemento per l’urbanizzazione, crescerà la domanda di acqua potabile e di energia a cui si risponderà con la costruzione di altre 180 centrali elettriche e 175 nuovi impianti per la dissalazione dell’acqua. Le foto scattate da un satellite, di notte per mettere in evidenza la copertura luminosa dei litorali urbanizzati, mostrano come il 40 per cento delle coste mediterranee sia «artificialmente» occupato, anche se con grandi differenze tra i paesi: da un minimo del 7 per cento di costa albanese cementificata, si arriva al 100 per cento in Libano, Israele, Malta, Monaco e Slovenia. In Italia la percentuale di copertura si aggira tra il 60 e il 70 per cento. E’ scoraggiante guardare al futuro da questa prospettiva: la maggior parte dei danni provocati ormai sono irreversibili, ma lo scenario presentato dal Plan Bleu ci obbliga a ulteriori riflessioni sulla sostenibilità ambientale del nostro modello di sviluppo, e su una passione per il mare che rischiamo di pagare con un forte impatto sull’ambiente costiero.
Rettifica
L’articolo pubblicato domenica con il titolo «Che fine ha fatto l’aviaria» è di Monica Zoppè, del Comitato Scienziate e scienziati contro la guerra: ma per una svista tipografica il nome è stato storpiato in Zompè. Ce ne scusiamo con l’autrice e i lettori.