Il Libano scopre la sua al Qaeda

Ritorna sulle prime pagine dei giornali mediorientali Fatah al-Islam, una delle organizzazioni più misteriose della galassia salafita, che potrebbe essere al servizio di uno, forse più attori, che si muovono nella complessa scena libanese. Sei membri del gruppo hanno (o avrebbero) confessato alle forze di sicurezza libanesi di aver compiuto l’attentato di un mese fa contro due minibus di pendolari, vicino Bikfaya, a nord-est di Beirut, in cui rimasero uccise tre persone ed una ventina ferite. Secondo le autorità libanesi, la cellula aveva pianificato una serie di attacchi contro l’Unifil, la forza Onu schierata nel sud del Libano, e ben 36 personalità politiche. In un appartamento di Achrafiyeh, nella zona cristiana di Beirut, gli arrestati avevano accumulato armi ed esplosivo.
Oltre a due palestinesi ufficialmente registrati nel campo profughi di Yarmuk, alla periferia di Damasco, tra i sei arrestati figurano un siriano, Husam Mohammad Sayam, e un saudita, Mohammad Saleh Salem. Altri due palestinesi sono riusciti a sottrarsi alla cattura e avrebbero trovato rifugio nel campo profughi di Nahr al Bared, nel Libano settentrionale, vicino al porto di Tripoli, dove nei mesi scorsi era stata segnalata l’infiltrazione di alcune decine (centinaia secondo altre fonti) di miliziani di Fatah al-Islam provenienti dalla Siria, dopo che erano fuoriusciti dal gruppo Fatah-Intifada, guidato dall’ ex colonnello palestinese Abu Mussa, colui che con una rivolta fomentata negli apparati militari dell’Olp contribuì nel 1983 all’espulsione definitiva dal Libano del presidente palestinese Yasser Arafat che era rientrato segretamente nel paese dopo essere stato costretto a lasciare Beirut l’anno precedente a causa dell’invasione israeliana. La soddisfazione del governo era forte ieri sera, perché gli arresti e le confessioni pongono sul banco degli imputati i «nemici» – siriani e palestinesi – di alcuni dei partiti che compongono il fronte anti-Damasco del «14 marzo», in particolare le Forze Libanesi del criminale di guerra Samir Geagea e il partito Mustaqbal (Futuro) di Saad Hariri, il figlio dell’ex premier Rafiq Hariri morto due anni fa in un attentato. L’annuncio della svolta nelle indagini peraltro è giunto alla vigilia (un caso?) delle commemorazioni per la manifestazione del 14 marzo 2005 in cui un milione di libanesi, ad un mese dall’uccisione di Hariri, invasero il centro di Beirut per chiedere la fine della presenza militare siriana in Libano. E forse non è un caso anche il fatto che le confessioni dei sei arrestati siano identiche a ciò che il quotidiano Al-Mustaqbal, organo dell’omonimo partito, aveva già riferito il 30 novembre scorso, ovvero che i militanti di Fatah al-Islam erano stati «inviati dal presidente siriano Bashar Assad per assassinare 36 figure pubbliche libanesi». Queste «singolari» coincidenze aumentano i sospetti su Fatah al-Islam e se i leader del «14 marzo» si affrettano a puntare l’indice contro Damasco, nelle scorse settimane sono venuti alle luce retroscena molto interessanti sui rapporti del governo libanese con questa e altre formazioni jihadiste sunnite. Un giornalista molto famoso, l’americano Seymour Hersh, noto per le sue strette relazioni con uomini della Cia e dei servizi segreti di vari paesi, sulle pagine del suo giornale, Newyorker, due settimane fa ha descritto la sterzata subita dalla linea dell’Amministrazione Bush in Medio Oriente. Un cambiamento, ha spiegato, volto a tenere sotto pressione, con ogni mezzo, l’Iran e i suoi alleati, incluso naturalmente Hezbollah, il partito sciita che la scorsa estate ha tenuto impegnate per 33 giorni le forze armate israeliane nel sud del paese. Un «contenimento» sciita che in Libano, passa per il sostegno che il governo filo-Usa di Fuad Siniora avrebbero dato e ancora darebbe a varie formazioni estremiste sunnite con il chiaro obiettivo di usarle contro Hezbollah. Accuse alle quali le autorità di Beirut hanno risposto balbettando, finendo così per avvalorare le rivelazioni di Hersh, peraltro frutto di dichiarazioni di funzionari statali e di esponenti di partiti della maggioranza. Ne consegue che se da un lato non si può escludere un coinvolgimento siriano, dall’altro ad insospettire di più sono proprio le attività del fronte «14 marzo». Subito dopo gli arresti, il rappresentante in Libano dell’Olp, Abbas Zaki, ha ricordato che i miliziani di Fatah al-Islam sono «penetrati» nell’autunno scorso nel campo profughi di Nahr al-Bared, dove però sono stati «boicottati dalle altre fazioni». Parole che hanno un solo significato: non tentate di trascinare i palestinesi nella crisi libanese.
Interpellato dalla Tv satellitare araba Al-Arabiya, l’esperto di islamismo radicale Fares Bin Huzam ha detto che Fatah al-Islam conterebbe su 200-300 miliziani ed è guidato da un leader poco conosciuto, il palestinese Shaker al-Abbasi, con incerti legami con Ayman Zawahri, il numero due di al-Qaeda, che nei mesi scorsi aveva chiesto attacchi contro l’Unifil. Al-Abbasi, 52 anni, un paio di settimane fa ha concesso una intervista al quotidiano saudita Al-Shark al-Awsat che non è servita a sciogliere i dubbi di coloro che credono che Fatah al-Islam sia manovrata da qualcuno dentro o fuori il Libano. Il leader di Fatah al-Islam ha detto di essere un palestinese cresciuto in Giordania, di essere stato incarcerato in Siria e di aver combattuto in Nicaragua, senza specificare se per i sandinisti o per la contra pagata dagli Usa.