Era una notizia da prima pagina, è passata inosservata. La camera bassa del parlamento indiano ha approvato una legge che garantirà a tutte le famiglie rurali in India un salario minimo garantito. Oltre il 70% del miliardo e passa di indiani è rurale, dunque stiamo parlando di una legislazione che inciderà sulla vita di oltre 700 milioni di persone. «E’ la misura più importante approvata per i milioni di poveri in India, almeno dall’indipendenza nel 1947», ha commentato Prabhat Patnaik, economista alla Jawaharlal Nehru University di New Delhi (all’Interpress Service). Patnaik, con altri noti economisti, è anche nel National Advisory Council, organo consultivo formato da Sonia Gandhi, la presidente del partito del Congresso che guida la coalizione di governo indiana, con l’appoggio dei partiti comunisti. Ed è questo gruppo di consiglieri che ha ispirato l’ambizioso piano anti-povertà. Approvata dopo un dibattito fiume, la Rural Employment Guarantee Act parla per la precisione di lavoro garantito. Dice che gli stati dovranno assicurare almeno 100 giorni di lavoro retribuito all’anno per ogni famiglia rurale; ovvero, ogni famiglia in cui un adulto accetti di compiere lavoro manuale di utilità pubblica riceverà il salario corrispondente. La logica è dare un lavoro retribuito nella stagione di stasi dell’agricoltura (quando non ci sono semina o raccolti). Dunque, il governo spenderà ogni anno circa 10 miliardi di dollari (poco più dell’1% del prodotto interno lordo indiano) per dare alle famiglie povere rurali un reddito di almeno 60 rupie al giorno per 100 giorni. Sessanta rupie sono 1,50 dollari: e questo dice che i destinatari sono i milioni di indiani che vivono in povertà assoluta (secondo la Banca mondiale, il 30% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, secondo molti economisti indiani sono forse il 40%).
Nella sua versione originale, la proposta di legge era rivolta agli individui, non alle famiglie. Lasciava ai singoli stati indiani il compito di fissare il salario minimo: in stati progressisti come il Kerala, ad esempio, già oggi è 134 rupie al giorno (oltre il doppio di quello fissato ora). Rendeva più esplicito il principio della pari opportunità per le donne. Eppure, benché «annacquata» rispetto alla prima proposta, la nuova legge resta «rivoluzionaria», commenta Patnaik. «Potremo cominciare a intaccare davvero la povertà rurale e offrire una difesa contro la fame, specialmente durante le stagioni di magra», ha dichiarato al parlamento il ministro dello sviluppo rurale Raghuvansh Prasad Singh.
La legge del lavoro garantito sarà applicata all’inizio in 200 distretti rurali, poi estesa gradualmente a tutti i 600 distretti rurali dell’immensa nazione. Jean Dréze, un altro economista (autore di noti libri sulla povertà in India con Amartya Sen), anche lui tra gli ispiratori della nuova legge, sottolinea una serie di effetti positivi. La nuova legge contribuirà a fermare la massiccia emigrazione dalle campagne alle città, dove milioni di persone disperate troveranno solo lavori bestiali e finiranno per ingrossare miserabili bidonvilles. E poi, contribuirà allo sviluppo delle campagne, dove c’è un «massiccio potenziale di interventi pubblici ad «alta intensità di lavoro» nei campi della protezione ambientale, riassetto dei bacini idrici, rigenerazione di terre impoverite, prevenzione dell’erosione dei suoli, ripristino di reservoirs per immagazzinare l’acqua piovana, protezione delle foreste». Secondo Drèze il programma di lavoro garantito beneficerà in larga parte le donne, dunque contribuirà a riequilibrare le disparità di genere. E poi sarà applicata dagli enti locali, e questo darà più influenza e poteri ai consigli di villaggio elettivi, i panchayat – dove tra l’altro un terzo degli eletti sono donne, che cominciano così a far sentire la propria voce e cambiare il proprio statuto nella società. Del resto, è proprio un panchayat che in un paesetto del Kerala ha revocato la licenza a uno stabilimento da 25 milioni di dollari che imbottigliava per la CocaCola.