Bagnata dai raggi del sole di Spagna, un sole che sà un pò di socialismo, arriva l’ennesima dura condanna della Chiesa cattolica verso coloro che per scelta o per impossibile adeguamento non sono votati alla consacrazione del nucleo familiare perfetto. Discende dalla divinità la normalizzazione canonica di Papa Benedetto XVI? Sostiene Ratzinger che la Chiesa a volte deve pronunciare dei “no”: uno di questi è netto, preciso, icastico e tremendamente risoluto nella sua portata di condanna. E’ il no alla famiglia non tradizionale, all’unione, ossia, tra uomo e donna che il successore di Pietro ci presenta ancora una volta come l’unica, la sola, l’imprescindibile
erede della naturalità del rapporto tra esseri umani. Si intende rapporto sociale e sessuale. Ratzinger non lo dice, ma lo sottende con una evidenza che non ha bisogno di alcun orpello in odore di sagrestia per poter essere occultato con maestria: ogni altra congiunzione tra persone, ogni patto sociale tra le persone che siano diverse da un uomo e da una donna è, quindi, devianza dalla normalità, dalla naturale normalità prestabilita, precotta e servita dalla Santa Sede.
Benedetto XVI si lagna e dice: “La Chiesa non può smettere di annunciare promuovere la famiglia fondata sul matrimonio”. Nessuno glielo chiede. Ma sarebbe un bel gesto, un gesto da vero cristiano riuscire ad amare non solo a parole tutti i propri simili, al di là della interpretazione sessista, sessuale e sessofoba che può derivare da un più o meno evidente pregiudizio che deve regolare il termometro del potere della Chiesa sulla moderna società che sempre più si divincola dal sacramento dell’unione di coppia.
Le nozze di Cana sono distanti nel tempo, eppure non c’è nulla nei Vangeli canonici e nemmeno in quelli apocrifi che porti a pensare che Gesù Cristo fosse in qualche modo avverso all’unione di persone dello stesso sesso. Forse questa è anche la forza su cui Ratzinger e il clero moderno posano ancora le basi di un altrettanto moderno preconcetto verso gli omosessuali (siano essi donne o uomini), non più vituperati ma peggio, disprezzati come impuri, infelici da compiangere perchè non rientranti nella complessa e complessiva vita perfetta che emana da Dio.
Il Vaticano, in questo modo, pretende ancora una volta di dettare i propri canoni morali – appropriandosi di quella sfera divina con cui da sempre sancisce il proprio potere temporale e la propria influenza spirituale – ad un mondo che non è draconianamente separabile in una dicotomica antitesi tra bianco e nero, scuro e chiaro, maschio e femmina. Non c’è soggetto e oggetto al mondo che non conosca una “contaminazione” con tutto ciò che lo circonda e che, quindi, non possa rispondere esclusivamente “sì” all’appello accorato del pontefice romano.
I teologi cattolici, il clero e Ratzinger sanno benissimo che gli omosessuali sono persone in carne e ossa, fatte di sentimenti tali e quali quelli provati dagli eterosessuali. Sanno benissimo altresì che solo loro vogliono ancora il perdurare di divisioni alimentati per millenni attraverso la strumentalizzazione del “verbum Dei”.
Lo sanno. E temono che questo vortice di presa di coscienza, che in questi decenni ha spalancato le proprie porte e ha permesso agli omosessuali di vivere con un maggiore tasso di armonia con il resto della società, possa essere un giorno sovverchiante rispetto al timore e alla reverenzialità verso il teologismo pontificio in fatto di famiglia. Hanno una tremenda paura che gli uomini e le donne possano comprendere che non c’è bisogno di un “sì” per stare insieme, e che non pronunciare quel “sì” non è un peccato mortale. Perchè, come diceva Don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù”, anche se su questo terreno, probabilmente, anche il buon priore di Barbiana sarebbe stato parecchio cauto. Se non altro perchè i tempi in cui fu costretto a difendersi dalle accuse che gli piovvero addosso erano certamente difficili, pregnanti di un ostracismo totalizzante: dagli ambienti miltari e i loro cappellani alle scuole scudocrociate e la loro difesa imprescindibile della morale.
Nella terra di Zapatero, dove qualche spiraglio di luce si vede per i diritti dei gay e delle lesbiche, per i diritti di tutti coloro che vogliono vivere insieme ma che non vogliono contrarre un matrimonio “tradizionalista”, ebbene in quella ricca terra di neonati bisogni e spazi di libertà la voce di Benedetto XVI stona veramente tanto. Stona con tutto e trova consonanza con i falangisti del revanchismo franchista, con le gerarchie della conferenza episcopale iberica e con settori della corte di Re Juan Carlos. Ma quanto questo faccia davvero presa è tutto da dimostrare. I pacs avanzano e la Chiesa tenta l’offensiva ogni volta che le si offre l’occasione. Come l’acqua che si adatta a qualsiasi contenitore, la Chiesa cattolica ha saputo fare ciò nei secoli dei secoli. Ma il lupo perde il pelo, non certo il vizio: il guanto di velluto – le belle educate (edulcorate) parole – sopra il pugno di ferro – il “no” che la Chiesa deve dire… – non funziona più Santità, neppure nella cattolicissima Spagna.