Il grande ritorno della fede: il dibattito sulla chiesa

Su “Reset” un´intervista a Klaus Eder, autore di un saggio sul nuovo senso religioso europeo
Negli ultimi anni una diversa visibilità del sacro è entrata nella sfera pubblica
Nonostante si parli di società secolari sempre più persone trattano di questioni attinenti la spiritualità
Nel vecchio continente gli individui sono stati costretti a privatizzare il loro credo a differenza dell´Asia e dell´Africa
Gli europei oggi ballano per il papa e si esprimono in molti altri modi somigliando ormai agli americani

Klaus Eder, autore di un saggio sull´Europa «postsecolare», uscito su una rivista berlinese, è l´ispiratore di un concetto sul quale Jürgen Habermas e il cardinale Ratzinger, nel loro celebre dialogo di un anno fa, si sono dichiarati d´accordo. Eder insegna sociologia alla Humboldt Universität di Berlino e all´Istituto Europeo di Firenze.
Prof. Eder, che cosa si intende esattamente per «post-secolarismo»?
«Iniziamo con un paradosso: nelle società secolari come quella europea, abbiamo una comunicazione religiosa sempre maggiore. Da un lato si parla di società secolari ma, dall´altro, sempre più persone trattano argomenti religiosi. Le domande che mi pongo allora sono: cos´è successo nel corso della secolarizzazione? Come mai aumentano le voci religiose? La mia risposta è semplice: durante la secolarizzazione, la religione non è sparita tout court, ma è semplicemente sparita dalla sfera pubblica. In altre parole, la voce della religione non era più udibile, essendo diventata un fatto privato. Oggi la religione sta tornando sulla scena pubblica. Questo ritorno della religione nella sfera pubblica viene da me definito come “post-secolarismo”».
Questioni di visibilità: è un fenomeno allora più apparente che sostanziale?
«No. Ciò che voglio dire è che durante l´era secolare (ancora predominante in Europa), la religione non è sparita, ma ha preso una forma invisibile a livello pubblico. Non si parla di religione, e neppure i gruppi religiosi osano andare sulla scena pubblica in quanto non si sentono legittimati. La secolarizzazione non è altro che un fenomeno che ha portato la religione a tacersi: espropriazioni di terre, interventi, censura nelle scuole. Essa è dunque uscita dalla sfera pubblica per entrare in quella privata. Ma non per questo è sparita. È diventata semplicemente invisibile».
In un certo senso, allora, lei abbandona la teoria classica di Weber della secolarizzazione, ovvero quella secondo cui, a causa dei processi di razionalizzazione, la religione perde peso.
«Sì, rifiuto la tesi di Weber, perché è una teoria che non prende in considerazione il fatto che la religione può mutare forma di esistenza sociale, in questo caso diventare da pubblica a privata. Nella sua teoria ufficiale, Weber dà troppo peso alla razionalizzazione anche se intuisce che, a un certo punto della storia della secolarizzazione, la religione sarebbe tornata. Weber ha avuto questa intuizione, senza però formulare una teoria precisa. Io ritengo che la religione stia tornando alla fase pre-secolare, e non per caso. Infatti, ad un certo punto della secolarizzazione, essa è diventata così sicura di sé da riemergere nella sfera pubblica, non più come voce unica proposta dalle istituzioni, ma multipla e varia quanti sono gli individui. Basta osservare la quantità d´attività e testi religiosi proposti».
Vi è, però, un aspetto della teoria tradizionale che è confermato tuttora dalle verifiche: il numero dei credenti diminuisce.
«La religione che diminuisce è quella che si appoggia alle istituzioni come la Chiesa, ovvero la religione pubblica. La mia idea è che la secolarizzazione ha fatto sì che la religione sia sparita dai luoghi pubblici e che le chiese rappresentino principalmente un luogo dove la gente va per mostrare la propria fede di appartenenza. Nelle società secolari le persone hanno sviluppato una religiosità privata. Questo non significa che ci sia un numero minore di credenti, ma solo che sono di meno coloro che seguono la religione pubblica e che mostrano la propria religiosità in strada, pur mantenendo una fede in una modalità privata».
Quali sono le ragioni di questo ritorno? L´aumento della visibilità della religione è dovuto allo sviluppo dei mezzi di comunicazione?
«Si deve prendere in considerazione un punto di vista comparativo. Al mondo vi è un solo continente che è passato attraverso un forte processo di secolarizzazione: l´Europa. Né l´America, né l´Asia o l´Africa. Quando si parla di secolarizzazione si parla perciò unicamente d´Europa. Qui gli individui sono stati forzati a privatizzare la religione in quanto vi era un´istituzione religiosa o, al massimo due, a cui riferirsi: la chiesa cattolica e la chiesa protestante. Le persone non hanno avuto la possibilità di sviluppare una religiosità individuale o le proprie idee religiose, mentre, parallelamente, la società si diversificava. Tutti, dalle classi più basse a quelle alte, seguivano la stessa religione».
Non negli Stati Uniti.
«Negli Stati Uniti invece, la religione è rimasta pubblica grazie alla vasta scelta offerta (presbiteriani, battisti, cattolici etc.). In Europa una scelta limitata ha portato ad un unico bivio: religione privata o religione pubblica. Di conseguenza, si è rafforzata l´invisibilità della religione, che, tuttavia, oggi torna sulla scena pubblica. Si intravede, infatti, la faccia del post-secolarismo. La religione privata torna pubblicamente forte e dinamica – in quanto individuale. La gente balla per il papa e si esprime in molti altri modi e l´Europa somiglia ormai quasi all´America, ma addirittura in modo più moderno perché molto meno legato alle chiese istituzionali. Altra contrastante conseguenza: il vecchio continente diventa così una regione fertile per le opinioni religiose radicali e i fondamentalismi».
Bisognerà allora porre qualche limite per evitare pericoli di lungo periodo, oppure il post-secolarismo è un fenomeno positivo che rinforzerà le società liberali? In altre parole, lei concorda con John Rawls, il quale aveva da tempo preso in considerazione il ruolo attivo della religione nella società (per esempio nella battaglia per i diritti civili e prima ancora nella lotta contro la schiavitù) e l´aveva inserito nel suo “liberalismo politico”?
«Avere delle convinzioni religiose pubbliche significa facilitare l´integrazione della religione nella democrazia liberale, in quanto la religione si trova a sostenere un dialogo continuo: si è obbligati ad argomentare, rispondere e giustificarsi con più forza in pubblico che non in privato. Il dibattito permanente forza la religione ad aprirsi al dialogo e la politica ad integrare i temi e le opinioni religiosi in tutti i campi. Il rischio della mescolanza tra politica e religione sta nel fatto che alcuni politici potrebbero parlare della religione come un peso, mentre alcuni religiosi potrebbero dire di alcuni politici che rappresentano il male. Ma il pericolo non è così grave: lo screditarsi appartiene alla normale prassi del confronto politico.
In ogni caso, i teorici normativi ci dicono come si dovrebbe vivere, mentre io sono più orientato verso la sociologia. Mi guardo intorno e noto ciò che sta accadendo: la gente è sempre più religiosa pubblicamente. Si può essere credenti ed esprimersi come si vuole, non per forza all´interno dell´istituzione – anche se si può scegliere di rientrarci. Si può diventare buddisti, pentecostali, e dichiararlo pubblicamente. È questo ciò che mi interessa.»