Il governo si vende l’Alitalia

Il governo ha deciso di vendere la quota di controllo di Alitalia, dando così il via alla piena privatizzazione della compagnia di bandiera italiana. Un’azienda martoriata dai debiti, in continuo contrasto con il personale (peraltro già sacrificato attraverso più accordi sindacali, con esuberi o riduzioni salariali), che si avvia ora verso un futuro incerto, esposta al mercato e a rischio «spezzatino». Il fine dell’esecutivo – spiegato da un comunicato in conclusione del consiglio dei ministri – sarebbe quello di vendere a un soggetto che garantisca una continuità e addirittura metta in campo un rilancio. Un soggetto anche straniero (si è parlato molto di Air France, in questi ultimi mesi: compagnia, però, diversamente sostenuta dal governo e dallo Stato francese, non a caso oggi in posizione di preminenza in Europa). Alitalia potrebbe diventare, al contrario, il ramo un po’ rinsecchito di un big estero, liberandosi di gran parte del personale e delle rotte. Ma il governo assicura – almeno è l’intenzione – che la vendita è oggi l’unica possibilità, e che verrà selezionato un soggetto a cui vendere la quota di controllo in mano al Tesoro (che possiede complessivamente il 49,9% di Alitalia) solo dopo una «accurata analisi dei piani industriali che verranno presentati dai soggetti interessati, anche al fine di verificarne la compatibilità con gli obiettivi di risanamento, sviluppo e rilancio dell’azienda, ritenuti imprescindibili».
Sarà, ma la preoccupazione del personale e le perplessità di parte della stessa maggioranza dell’Unione sono tante, soprattutto dopo i tanti esempi di privatizzazione falliti negli anni passati, ritortisi poi contro i cittadini, sia sotto forma di risparmiatori che di utenti (solo per citare qualche esempio, la Telecom e l’industria alimentare, genere Cirio). Certo, gli stranieri sono quasi sempre più seri degli imprenditori italiani, ma poi si porrebbe il problema del rispetto – anzi, della stessa esitenza – di un piano strategico dei trasporti aerei in Italia: se oggi il governo dell’Unione sceglie di tirarsi fuori, chi assicurerà in futuro che una qualche compagnia aerea (italiana o meno non importa) risponda alle esigenze dei cittadini italiani? Il problema è capire se il solo mercato può dare questa risposta, e non pare che paesi come la Germania, la Francia o la Gran Bretagna – dove restano centrali Lufthansa, Air France o British Airways, senza per questo vietare a Ryanair o Easyjet di offrire legittimamente le proprie offerte low cost – pensino che la risposta sia sì.
Comunque il governo italiano pare deciso a portare avanti ed ultimare l’operazione di disimpegno dal trasporto aereo, operazione già avviata lo scorso anno, sempre in dicembre, quando il Tesoro scese sotto la soglia del 50% della proprietà, indicando una precisa direzione. Entro il 31 gennaio 2007, con la procedura della vendita diretta, si dovrebbe completare l’opera, scendendo sotto la fatidica soglia del 30%, e dunque perdendo qualsiasi diritto di controllo sulle politiche della compagnia. Oltretutto, si pone anche il problema del rinnovo dei dirigenti della compagnia, con il presidente e amministratore Giancarlo Cimoli ormai «scaricato» da tutti i ministri e avversato dai sindacati, e in chiara direttiva di uscita.
Tra le manifestazioni di sfiducia a Cimoli, con annesse richieste di rapido ricambio, è arrivata quella del ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, anche l’unico esponente di Rifondazione tra i ministri, e che ha motivato il suo voto favorevole a causa dello «stato comatoso in cui è stata condotta l’azienda». Per Ferrero, il percorso di cessione della quota «deve mettere al centro un piano industriale che preveda e garantisca il ruolo della compagnia in Italia e in Europa e il conseguente mantenimento dei livelli occupazionali, anche rivedendo la divisione tra settore fly e service, che si è rivelata una scelta sbagliata». Stesse priorità vengono individuate dal capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio, il quale spiuega però che la cessione «non convince» il suo partito: «C’è il rischio di procedere a una vera e propria svendita. Inoltre, servirà verificare chi compra e con quale tipo di piano industriale. La garanzia minima dovrà essere comunque la salvaguardia dei posti di lavoro e l’effettivo rilancio della compagnia». Per il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, «ci sono gli spazi per chiedere i danni a Cimoli», mentre per la cessione «è importante che il governo scelga imprenditori affidabili, seri, che abbiano un piano industriale e occupazionale che possa tutelare i lavoratori e gli utenti». Pecoraro hga poi fatto qualche cifra, spiegando che il governo potrebbe cedere «circa il 25%» di Alitalia. Grandi performances, infine, per il titolo in borsa: dopo la sospensione a mezzogiorno, Alitalia ha chiuso con un +10,57%, con scambi per oltre 200 milioni di pezzi, pari al 14,45% del capitale.