Continua a rompere cocci, come se non avesse problemi di consenso sociale. E non si capisce assolutamente come pensi di recuperare punti, questo governo.
Ieri si sono presentati a palazzo Chigi i sindacati invitati alla trattativa sul rinnovo dei contratti sul pubblico impiego. Presenti i soli confederali (Cgil, Cisl e Uil) più gli ex missini dell’Ugl, ormai sdoganati come «sindacato responsabile». Fuori sono rimaste altre sigle rappresentative, che pure avrebbero dovuto essere chiamate perché hanno superato la soglia dei voti previsti dalla Bassanini. Ma o esprimono rivendicazioni più «radicali» oppure sono attestate nelle difesa corporativa. Mentre è stato ammesso, e non si capisce perché, il vicepresidente di Confindustria, Giuseppe Morandini.
Ci si poteva attendere che almeno davanti a questa platea più ristretta e meno distante dalla visione del governo, i ministri incaricati della trattativa (Luigi Nicolais per la funzione pubblica, Tommaso Padoa Schioppa per l’economia, Enrico Letta per la presidenza del Consiglio) tirassero fuori le carte «vere» per arrivare a chiudere un rinnovo contrattuale ornai atteso da 15 mesi. E invece niente, neppure un numero ufficioso. Come quando Padoa Schioppa è altrove. L’unica «garanzia» è venuta da Nicolais, che ha promesso l’avvio della trattativa per il 3 aprile – data del prossimo appuntamento – «prevedendo anche risorse aggiuntive per il biennio 2006-2007» rispetto a quanto previsto dalla Finanziaria.
Ma la fiducia è ormai incrinata. Carlo Podda, segretario nazionale della Funzione Pubblica Cgil, ha spiegato poi che «anche un pezzo di carta firmato dal presidente del Consiglio, a questo punto, non mi basta più». Per cancellare lo sciopero «aspetto solo che direttive del governo arrivino nelle mani del presidente dell’Aran (l’agenzia incaricata di gestire le vertenze nel settore pubblico, ndr); perché è già successo, in passato, che per andare da palazzo Chigi a via del Corso (sede dell’Aran, ndr) ci sia voluto qualche mese e qualche sciopero». Direttive ovviamente contenenti le cifre precise che il governo prevede di spendere per il contratto.
Le quali restano per il momento misteriose. Il ministro del lavoro, Cesare Damiano, aveva spiegato in mattinata che «per tutti i tavoli in piedi sono a disposizioni i 2,5 dei miliardi» di surplus costituenti il famoso «tesoretto». Ma prioritaria dovrebbe essere la rivalutazione delle pensioni più basse. Resta poco, se qualcosa resta. E i fondi «provenienti dalla lotta al lavoro nero» sembrano per ora più una presa in giro («23 milioni in 5 mesi») che una risorsa finanziaria atta all’uopo.
E quindi sciopero confermato per il 16 aprile. Tanto più che al tavolo di ieri mancavano i rappresentanti (sia ministeriali che sindacali) di scuola, università e ricerca. Categorie che hanno già indetto lo sciopero generale per lo stesso giorno. C’è stato persino spazio per l’ironia. Paolo Nerozzi, segretario confederale Cgil con delega al pubblico impiego, ha invitato il governo «ad aumentare la propria produttività nella settimana» che separa dal prossimo incontro; visto che quel che ha proposto fin qui è davvero pochino.
Oggi si continua con i «tavoli» su mezzogiorno e pensioni. Tanta la carne al fuoco (dalle infrastrutture alle «zone urbane franche»), ma se il governo prosegue nell’astenia propositiva che l’ha caratterizzato finora, è lecito attendersi che la «concertazione» non farà significativi passi avanti.