E così il Dpef della «redistribuzione», redistribuì anche Fincantieri: tra le poste del Documento di programmazione economica e finanziaria, votato all’unanimità dal consiglio dei ministri, c’è infatti anche la quotazione di uno degli ultimi «gioielli di Stato», Fincantieri. Alla faccia dei lavoratori, che avevano votato al 70% il no alla quotazione – con una petizione della Fiom che è andata ben oltre i suoi tesserati (il 35%) – e alla faccia degli scioperi e delle manifestazioni – fino alla bella trasmissione di Riccardo Iacona di qualche giorno fa – che avevano cercato di spiegare come fosse insensato consegnare ai mercati un’azienda pubblica che lavora bene e fa utili.
Un vero «nonsenso» per chi si professa di sinistra. Eppure, il tutto è passato con la pesante indifferenza di Rifondazione comunista, che negli ultimi mesi aveva più volte gridato il suo no alla privatizzazione, scendendo in piazza accanto ai lavoratori, e che con il segretario Franco Giordano aveva addirittura minacciato la crisi. Basta recuperare l’intervista del 30 maggio su Finanza e mercati (disponibile nella rassegna stampa sul sito della Fiom), dove il leader del Prc pone un «ultimatum»: «No all’uscita del Tesoro da Alitalia e no alla quotazione di Fincantieri. Si usi il metodo collegiale: se non sappiamo decidere vuol dire che non sappiamo neanche votare in Parlamento». Poi, come si sa, di acqua ne è passata sotto i ponti, e le pensioni hanno fagocitato tutto: fino a che Fincantieri è del tutto scomparsa dall’agenda di Rifonda.
Il governo ha comunque aggiunto il danno alla beffa: l’ultimo incontro con i sindacati era previsto proprio per il 28 giugno, giorno del varo del Dpef, e si è deciso di rimandarlo al 18 luglio. Come si dice: «a babbo morto». «Ci avrebbero almeno potuto incontrare per dirci che erano intenzionati ad andare avanti con la quotazione, per una forma di rispetto – nota amaro Sandro Bianchi, Fiom nazionale – Adesso il 18 luglio cosa ci vogliono dire?». La Fiom comunque non si arrende: «La mobilitazione continua, anche con forme di protesta originali». Già la raccolta delle firme, portate dagli operai a Roma in scatoloni bianchi, direttamente a Palazzo Chigi, o l’idea di stilare un Libro bianco da divulgare su Internet (sempre sul sito Fiom: www.fiom.cgil.it), sono idee molto ben congegnate dal punto di vista mediatico. Ma spesso non basta che si parli molto della tua vicenda, se certi nodi della politica non si vogliono sciogliere.
Il governo dell’Unione ad esempio continua ad affermare che la quotazione dei cantieri navali che tutto il mondo ci invidia – e che dovremmo farci un vanto del fatto che sono pubblici, cioè di tutti noi – sarebbe necessaria per fare gli investimenti previsti nel nuovo piano, pari a 800 milioni di euro. Ma la Fiom ha calcolato che questi soldi Fincantieri ce li ha già: «Con l’autofinanziamento, la liquidità netta, i fondi europei, si arriva tranquillamente a 600 milioni – spiega Bianchi, che rimanda al conteggio dettagliato nel Libro Bianco – Cifra che secondo noi è già sufficiente, dato che alcuni progetti sono saltati di recente per vari motivi. Ma d’altra parte, all’audizione alla Camera del 7 giugno scorso, il sottosegretario Tononi, che ha la delega alla questione, ha detto che con l’autofinanziamento ci sono già 600 milioni, e che ne servono altri 500-600. Dunque Fincantieri è un pozzo senza fondo? Ora il fabbisogno è di 1 miliardo e 200 milioni? La verità è che la vogliono quotare comunque – conclude il sindacalista – E io avevo già una battuta pronta per l’incontro con il governo: se venisse una principessa araba che vi porta 800 milioni, voi trovereste un altro pretesto per privatizzare».