Il governo contro la tassa di Soru: “Far pagare i ricchi è illegale”

E ‘ una storia vecchia, vecchia di millenni. O almeno di secoli, da quando la Sardegna è diventata parte dello Stato italiano in formazione. Una storia fatta di conflitti tra potere centrale e potere locale, che l’autonomia della Regione non è riuscita a modificare, semmai ad amplificare, perché non riconosciuta nei fatti, spesso calpestata. Oggi si sta scrivendo una nuova pagina, dove la differenza sta nella caparbietà del presidente Renato Soru a portare avanti una battaglia più che giusta, dovuta. La tassa sul lusso non è altro che questo: far pagare ai ricchi il godimento del bene più importante che possiede il popolo: la sua terra, il suo mare, l’ambiente per anni preso a calci senza nessun riguardo. Ma il Governo non ci sta. Un Governo che dovrebbe essere amico e che invece per la seconda volta impugna la Finanziaria regionale mettendo sotto accusa le parti che chiedono soldi per le seconde case davanti al mare, per le barche al di sopra dei 14 metri, per gli aerei privati e, nella Finanziaria 2007, danno facoltà ai comuni di applicare la tassa di soggiorno. L’accusa è di ledere il principio di uguaglianza. Ma di quale uguaglianza si parla quando un’intera isola ha assistito per decenni all’assalto delle sue coste, del suo territorio, quando ancora oggi esistono molte, troppe servitù militari off limits e ad alto rischio per la salute, per la vita delle persone? Sicuramente non è l’uguaglianza delle donne e degli uomini che abitano la Sardegna.
Soru ha risposto alla ministra Lanzillotta, sostenitrice del provvedimento al Consiglio dei ministri, che non si fermerà, che andrà avanti. La contesa ha un risvolto di carattere tecnico e rimanda la decisione definitiva alla Corte costituzionale, da cui si attende una sentenza anche per la Finanziaria regionale del 2006. Ma c’è un altro risvolto, poco tecnico e molto politico. La tassa sui beni di lusso dice una cosa più importante, forse più importante di tutte: le ricchezze si possono e si devono redistribuire e l’ambiente non è barattabile con niente.
Che cosa vuole dire? E quali effetti ha una politica di questo tipo? A parte la conseguenza ovvia che le casse della Regione, cioè di tutti, trarranno vantaggi dal turismo, mentre prima andavano nelle mani di pochi, sta creando uno smottamento profondo nella società.
Andando in giro per la Sardegna, nei paesini, nelle città, lo si capisce. E’ la sensazione di un popolo che rialza la testa, che esce da un sonno che per anni aveva visto prevalere l’individualismo, l’interesse immediato di alcuni a scapito del bene collettivo.
L’iniziativa del governo regionale rimette al centro la comunità, la dignità delle cittadine e dei cittadini. E’ per questa ragione che va difeso e che, dall’altra parte, dà così fastidio ai Briatore di turno che, ancora, non se ne sono fatti una ragione. Non pesano ai ricchi, quelle tasse, perché esose, ma perché gli dicono che sono finiti gli anni delle razzie, che non sono più padroni di fare il brutto e il cattivo tempo.
C’è anche una contestazione che viene da sinistra e dice: le tasse sul lusso colpiscono chi, pur non avendo molti soldi, vuol godere degli stessi beni di un ricco che invece non avrà nessun problema a pagare. Lo capisco, ma non lo condivido. Ogni posto ha una sua storia. E la Sardegna parla di un’isola in cui il turismo, la più grande risorsa, è stato elemento di conquista, di colonizzazione. Oggi si cambia e si dice che con quella storia si può e si deve chiudere, che la politica ha finalmente a cuore le generazioni che verranno. Le tante e i tanti che vanno in Sardegna e che la amano lo sanno e sanno anche che le tasse servono a salvare quello che non è ancora stato distrutto, servono a rilanciare l’economia. Non a caso l’altro provvedimento che ha dato tanto fastidio è quello per la tutela delle coste che impedisce di costruire vicino al mare. In entrambi i casi si sta giocando la partita del futuro che un Governo di centrosinistra dovrebbe avere a cuore. Invece, come vecchia abitudine, preferisce rivendicare il proprio potere, limitare l’autonomia anche quella garantita dalla legge. Insomma solito discorso: il federalismo serve e viene sbandierato quando avvantaggia le zone ricche del Paese su aspetti che dovrebbero essere nazionali, come la sanità o la scuola, ma quando una Regione, peraltro a Statuto speciale, cerca di far rispettare i diritti di una collettività non ricca, senza fabbrichette o terziario avanzato, allora quella litania non vale più.