Il governo: «A Kabul ci restiamo sine die»

Riferendo alle commissioni esteri e difesa di camera e senato sui risultati del vertice Nato di Riga della fine di novembre, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha sostanzialmente chiuso, almeno ufficialmente, ogni speranza di «exit strategy» avanzata a gran voce la scorsa estate dalle sinistre dell’Unione. Nella sua audizione, infatti, D’Alema ha sostanzialmente confermato la «vision» alla base della missione dell’Alleanza a Kabul asserendo che si tratta di una legittima missione dell’Onu che avrebbe affidato alla Nato il solo compito di garantire la sicurezza nel paese. Descrizione che è alla base di una permanenza a tempo indeterminato, sine die, nel paese. Il vicepremier, affiancato dal sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, conferma gli orientamenti del nostro paese: nessuno spostamento a sud o a est dei militari italiani salvo in caso di concreto pericolo di vita dei commilitoni Nato e ricerca di una «azione politica» come condizione necessaria per venire a capo dell’intricata situazione afghana. La decisione sulle truppe, inoltre, sarà decisa dai comandi Nato e autorizzata dal governo senza alcun coinvolgimento parlamentare.
D’Alema ha poi constatato il sostanziale fallimento della conferenza internazionale su Kabul proposta dall’Italia sul modello dell’esperienza libanese e annuncia che «nelle prossime settimane» si terrà una riunione dei ministri degli Esteri del G8 con i rappresentanti di Pakistan e Afghanistan «allo scopo di fare il punto sulla cooperazione fra i due paesi che appare per quanto riguarda il contrasto all’azione dei talebani un nodo cruciale per la sicurezza». I due stati confinanti infatti sono da mesi ai ferri corti. Kabul accusa Islamabad di offrire un riparo sicuro alle forze talebane. Ancora ieri il presidente afghano Hamid Karzai è tornato ad accusare il Pakistan di essere «il padrone» della guerriglia talebana affermando che risolvere «i problemi con Islamabad» equivarrebbe a porre fine dal giorno dopo al «terrorismo in Afghanistan».
In cosa si sostanzi però questa «azione politica» oltre a quelle diplomatica e militare avviate dal 2001 è ormai difficile perfino intravederlo. Per la sinistra è solo Rifondazione a non nascondere le sue perplessità sulla posizione di D’Alema. «Come si può verificare, la nostra contrarietà a quella missione trova ogni giorno ulteriore conferma», avvisa Salvatore Cannavò, sinistra critica del Prc e uno dei cosiddetti «dissidenti» contro il rifinanziamento della missione. «Il governo non solo non ha in mente nessuna ‘exit strategy’ ma addirittura prevede un ulteriore impegno. Non c’è motivo – conclude – di ridurre l’opposizione alla missione. Anzi, deve essere chiaro fin d’ora che il suo rinnovo, in un contesto di rafforzamento della strategia Nato, troverà la nostra ferma contrarietà». Che a differenza del luglio scorso stavolta i malumori siano molto più diffusi o quantomeno disponibili a uscire allo scoperto lo confermano le dichiarazioni preoccupate di due parlamentari autorevoli ed esperti della maggioranza del partito come Francesco Martone ed Elettra Deiana. «La conferenza di pace sembra ormai lontana – constata amara Deiana – è previsto che l’Italia assumerà il comando di Isaf alla fine del 2007, noi siamo molto preoccupati perché non vediamo traccia di discontinuità rispetto al governo precedente o capacità di incidere negli organismi multilaterali».
Il famigerato ordine del giorno approvato in estate è svanito come neve al sole. Al senato ha scontato l’opposizione dell’ala più atlantista capitanata da «Lambertow» Dini e alla camera non si è mai andati oltre un ipotesi di comitato (che ha poteri molto minori di una commissione) che certo non affascina i più. A Herat il Prt militare e civile è operativo. L’Afghanistan compact non allevia i problemi della popolazione civile. La produzione di oppio esplode. A gennaio scadono le missioni e la discussione è destinata a esplodere.
«Da D’Alema mi aspettavo di più – confessa Deiana – non voglio che questo governo cada ma non vedo nessun atto di riflessione su un’esperienza che da noi alla sinistra Ds abbiamo sempre giudicato molto negativa. Vedo troppo realismo politico». Come diceva Antonio Polito (Margherita) in commissione: «Su Kabul l’Italia si è messa in Riga».