Quel «porqué no te callas», perché non stai zitto, con il quale il re Juan Carlos è esploso al vertice ibero-americano di Santiago del Cile contro il presidente venezuelano Hugo Chavez che dava del fascista al’ex premier spagnolo José Maria Aznar, è diventata una frase di culto. Risuona sui telefonini in Spagna, su YouTube, è persino il titolo di un nuovo sito Internet. Ma quello scontro verbale – e poco diplomatico – nasconde forse qualcosa di più serio, addirittura inquietante.
Al vertice di Santiago il Fidel Castro di Caracas, al potere dal 1998 e sempre rieletto, ha soltanto ripetuto le accuse lanciate nel 2004 dal ministro degli Esteri dell’attuale premier socialista Zapatero, Moratinos: l’appoggio di Aznar al golpe fallito dell’aprile 2002, provato da 8 telegrammi ufficiali dell’ambasciatore spagnolo a Caracas. Ma ora il quotidiano «El Mundo» rivela anche un golpe virtuale, pianificato a Madrid nel 2001, per invadere il Venezuela chavista: «l’operazione Balboa».
Il 3 maggio del 2001, il II Corso dello Stato Maggiore Congiunto della Scuola delle Forze Armate Spagnole vara uno strano war game, scegliendo proprio come nome Vasco Nunez de Balboa (1475-1511), uno dei conquistadores del Sud America. Ventisei pagine dettagliatissime di «simulazione». La manovra virtuale, con tanto di appoggio di una falsa luce verde dell’Onu (risoluzione 1580, datata 21 marzo 2001), autorizza una forza alleata congiunta ad intervenire nel Paese Marrone, il Venezuela appunto, «per ristabilire la legalità».
Nei grafici annessi si parla di 4 Paesi. L’Azzurro, definito come «un Paese di marcato carattere occidentale, con alleanze definite nelle principali Organizzazioni di Difesa e Sicurezza Occidentale, con forte economia e industria tecnologica molto avanzata». Ci vuol poca fantasia per identificarlo: gli Stati Uniti, in rotta da sempre con Chavez come la Spagna di Aznar, al potere dal ’96 al 2004. Poi vengono il Rosso (Panama) ed il Bianco (la Colombia). Questi due Paesi sono perfettamente identificabili perché si fa cenno agli aeroporti che vengono utilizzati per l’invasione: base Howard (Panama, la principale base aerea Cartagena e Simon Bolivar (Colombia).
L’escamotage dell’intervento armato, in cui partecipano 40 caccia F-15 ed altri 56 aerei per colpire 90 obiettivi? Nel Marrone («Paese importante per i suoi prodotti petroliferi nazionalizzati», dice il Balboa) si è estesa una forza rivoluzionaria, la Vip, che ha capitalizzato le simpatie di gran parte delle Forze Armate (Chavez è un ex militare) vincolate al Partido del Pueblo Libre. Le Vip hanno occupato la Zona Nera (una parte del Marrone corrispondente anche alla regione di Zulia, governata da un oppositore di Chavez, Manuel Rosales), per cui le vite dei residenti stranieri dell’Azzurro corrono pericolo e il Governo Legittimo ha chiesto l’intervento internazionale.
Ma le similitudini non sono finite qui: nel Bianco «c’è un movimento guerrigliero, ogni giorno più forte, che simpatizza con il Partito del Pueblo Libre». Cioè: le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie de Colombia, l’organizzazione guerrigliera marxista-leninista più vecchia dell’America Latina. Il war game finisce il 18 marzo, con il controllo aereo assicurato, i carri armati alleati nelle principali città.
L’Intelligence di Caracas viene a sapere del golpe simulato dallo Stato Maggiore srjaffnolo e il 2 settembre del 2005 Chàvez rilascia dichiarazioni di fuoco alla Cnn: «Abbiamo scoperto un’esercitazione militare della Nato contro il Venezuela, la Balboa, e ci stiamo preparando all’invasione». Ma Washington smentisce le affermazioni del Lider Maximo dei petrodollari sottolineando che il piano sì esisteva, ma era solo un war game madrileno e che la Nato non ha niente a che vedere, perché le sue uniche due lingue ufficiali sono l’inglese ed il francese.
Insomma, la «simulación» è frutto solo delle Forze Armate del Paese dei Conquistadores. E Chàvez ha una ragione in più per mettere nel mirino Aznar, diventato con Bush il suo maggior nemico dopo il tentativo di golpe (vero) dell’aprile 2002, che durò solo 47 ore, ma durante il quale l’ambasciatore spagnolo espresse «solidarietà» al golpista Carmona.