Il global/nazionalismo

La confusione provocata recentemente da Washington con l’annuncio prima della sospensione e poi del solo raffreddamento dei contatti militari tra gli Usa e la Cina costituiscono un ulteriore elemento verso la creazione in Asia orientale una nuova guerra freddo-calda.
La dinamica e la responsabiltà di tale tendenza ricadono pienamente sugli Stati uniti. A cominciare dal fallito tentativo di Clinton di minacciare militarmente la Corea del nord, la politica americana si è orientata ad impedire una qualsiasi autonomia politica in Asia orientale sapendo benissimo che tale sviluppo comporterebbe delle implicazioni negative circa l’egemonia del sistema imperniato sul dollaro e su Wall Street.
Come lucidamente spiegato da Peter Gowan in un libro che dovrebbe assolutamente essere tradotto in italiano e letto da tutta la sinistra (The Global Gamble : Washington’s Faustian Bid for World Dominance, London: Verso, 1999), il regime Wall Street-dollaro permette agli Usa di utilizzare le risorse mondiali senza contropartite reali. Questa situazione è il risultato della passività e dipendenza dei paesi europei (il Giappone non è mai stato realmente indipendente dagli Usa) nei confronti delle autorità americane fin dai giorni della guerra nel Vietnam. Infatti se è vero che le spese imperialistche americane hanno, attraverso la distruzione fisica e ambientale del Vietnam, innescato il boom asiatico, esse – attraverso l’aggravarsi della bilancia dei pagamenti Usa – determinarono la crisi del sistema monetario mondiale.
In questo contesto dopo un decennio di incertezza dovuto alla situazione nel Vietnam, gli Usa si crearono la loro soluzione politico-economica con le presidenze di Ronald Reagan. Bush Primo e Bill Clinton. Invece di preoccuparsi di riequilibrare la bilancia dei pagamenti cercando di riacquistare competività nelle esportazioni, gli Usa domandano al resto del mondo di finanziare ad infinitum le loro passività. Mutatis mutandis, il resto del mondo deve diventare per gli Usa ciò che l’India era per l’Inghilterra, la cui funzione era appunto quella di permettere a Londra di sostenere il suo crescente deficit nei confronti del mondo esterno all’impero.
La strategia Usa è quindi istituzionalmente globalistica ma svolta sempre da una prospettiva fondata esclusivamente sulle coalizioni di interessi economici che si formano sul piano nazionale. Non vi è pertanto separazione tra la strategia di inglobare le Americhe in un’unica zona di libero scambio e la politica di pressioni e minacce svolta verso l’Asia orientale. Riprendendo in pieno la visione di Clinton, l’attuale governo Usa vede nelle Americhe il terreno principalmente istituzionale su cui plasmare i rapporti mondiali a propria immagine e somiglianza. Il meccanismo è semplice: se i paesi delle Americhe si legano ad un trattato globale di libero scambio i termini di tale trattato diventeranno vincolanti per l’insieme di questi paesi sia per ciò che riguarda la loro condotta nel WTO sia per ciò che concerne accordi con paesi terzi. In tal modo Washington, che con la riunione di Québec ha praticamente svuotato il Mercosur, si costituisce un blocco il cui peso numerico non secondario viene gettato nei negoziati internazionali. La strategia verso le Americhe è quindi lo strumento per far avanzare globalmente la visione Usa dei rapporti politico-economici internazionali.
L’Asia orientale invece rappresenta una zona di sabbie mobili ove può affondare la strategia globalistica Usa. Contemporaneamente però senza l’Asia orientale il regime monetario internazionale Usa fondato su Wall Street ed il dollaro non può sostenersi. L’Asia rappresenta il punto più vulnerabile dell’economia politica dell’imperialismo Usa perchè da un lato essa è pienamente integrata all’economia americana, dall’altro essa contiene due paesi a proiezione mondiale: il Giappone sul piano produttivo e la Cina sul piano statuale e militare. L’integrazione economica si manifesta attraverso il fatto che le produzioni asiatiche fanno integralmente parte dei processi produttivi e della domanda proveniente dagli Usa. In questo contesto strutturale gli scambi con la Cina, il Giappone e con Taiwan rappresentanto il grosso del deficit Usa. Il finanziamento del regime Wall Street dollaro dipende quindi dalla capacità di far accettare a questi paesi l’egemonia politica – quindi economico-finanziaria – di Washington. Non solo i surplus di parte corrente dell’Asia orientale devono rendersi disponibili ai mercati finanziari di Wall Street ma è necessario che anche i risparmi interni di questi paesi, soprattutto quelli giapponesi, siano accessibili alle società finanziarie Usa. Ne consegue che ogni tentativo autonomo in materia di politica economica, cioè separato dagli interessi delle istituzioni Usa compresi il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, deve venire bloccato. La creazione di un clima di guerra fredda nei confronti della Cina è un’operazione voluta ad arte da Washington per impedire qualsiasi forma di autonomia politico-economica mentre l’America Latina viene usata per creare l’architettura di un sistema giuridco mondiale conforme agli interessi delle corporations Usa.