Il giorno più nero per gli Usa in Iraq

Un elicottero precipita nel deserto: 31 marine morti. Cinque soldati americani uccisi in combattimento, più un altro a Baghdad. Esplode il Kurdistan, una trentina di morti in due attentati. Scontri in tutto il paese. E domenica si vota

Vigilia elettorale di guerra a Baghdad e in tutto il paese, dove in una sola giornata sono stati uccisi almeno trentasei tra marine e soldati americani, mentre attentati e combattimenti con decine di vittime si segnalano un po’ ovunque, soprattutto nella zona kurda dove si sono registrati due sanguinosi attentati. Tutti si aspettavano, dopo i tre giorni di tregua relativa per la Festa del sacrificio, un ulteriore aggravamento del conflitto alla vigilia delle elezioni del trenta gennaio, ma pochi pensavano che quella di ieri sarebbe stata la giornata più nera per le truppe d’occupazione americane dall’inizio della guerra, dal lontano 23 marzo del 2003 quando in vari incidenti morirono ventisei soldati Usa. L’episodio più grave è avvenuto in pieno deserto, lungo la strada che da Baghdad porta verso il confine con la Giordania e con la Siria, dove da alcuni giorni erano in corso raid e pattugliamenti dell’esercito americano per bloccare il contrabbando di uomini e munizioni e per tagliare sia le linee di rifornimento sia di fuga ai gruppi della resistenza che agiscono lungo la valle dell’Eufrate, a Falluja, Ramadi, Hit, lungo l’antica via che risalendo il fiume portava verso la città di Aleppo. Un elicottero da trasporto CH 53 – Stallion della flotta aerea dei marines, a bordo del quale si trovavano alcune decine di soldati della prima divisione, la stessa impegnata a Falluja, è precipitato verso l’una e trenta del mattina, probabilmente colpito da un razzo: 31 marine sono morti.

Dall’inizio della guerra l’esercito americano ha perso 33 elicotteri, 22 dei quali ufficialmente colpiti in combattimento. Altri quattro marine sono stati uccisi ieri, sempre nella provincia occidentale di Anbar, per lo scoppio di un’autobomba e un altro soldato americano è morto in seguito ad una attacco della resistenza a Duluyia. Infine in serata un soldato della Thask force Baghdad è stato ucciso nella capitale dalla deflagrazione di un ordigno artigianale. La situazione più esplosiva resta in ogni caso quella di Kirkuk dove la decisione degli americani di affidare a tavolino alle milizie curde il controllo del consiglio provinciale della città, dando ai curdi 100.000 voti in più, pari al numero di coloro che sarebbero stati mandati via dalla città negli ultimi trent’anni, in spregio a tutti gli accordi con gli arabi e i turcomanni, ha di nuovo dato fuoco alle polveri. Il portavoce della lista unitaria araba, Wasifi al Yassi, di fronte al colpo di mano curdo-americano, ha deciso di ritirare la sua lista dalla competizione per il consiglio provinciale.

I quartieri arabi e turcomanni hanno preso le armi e il governo ha imposto il coprifuoco dal tramonto all’alba. Intanto tre autobombe hanno sconvolto la città provocando almeno dieci morti tra poliziotti, miliziani e passanti, mentre l’esercito americano ha avviato vasti rastrellamenti. In serata un camion bomba è esploso a Sinjar presso la sede del Partito democratico del Kurdistan (Pdk), uccidendo almeno 15 persone. Il fantomatico Zarqawi ha rivendicato su internet questo attentato con un messaggio che dichiara che «questo è il destino che spetta agli agenti degli ebrei e dei crociati». I turchi intanto, al di là del confine, si preparano.

Intanto la capitale irachena Baghdad è immersa in un’atmosfera surreale: i media internazionali parlano di elezioni, mentre sul campo la parola sembra essere esclusivamente alle armi. Le esplosioni si susseguono ad intervalli di due, tre ore, inframmezzate da raffiche di armi automatiche, gli elicotteri volteggiano bassissimi facendo la spola dalla Zona verde, la cittadella americana sempre più assediata da un’invisibile guerriglia.

Unica forma di campagna elettorale alcune migliaia di marazzoni armati fino ai denti, racimolati nei bassifondi della città, che ieri attaccavano manifesti del premier Iyad Allawi al costo di 10 dollari a testa nelle zone centrali frequentate, sempre più relativamente, dalla stampa internazionale. Il premier, deciso a giocare la carta del nuovo Saddam, ha parlato di nuovo alla televisione sostenendo che in caso di un ritiro Usa, l’Iraq sarebbe di nuovo invaso dai paesi vicini. Impressione e sdegno ha suscitato la voce, sembra messa in giro, o in ogni caso non smentita, dal governo secondo la quale chi non andrà alle urne non riceverà più la tessera annonaria e quindi quel paniere di generi di necessità che tengono in vita tante famiglie irachene. Anche la luce e l’acqua sarebbero al servizio del governo con le zone più decise a non votare come quella sunnita di Adhamia da giorni al buio e all’asciutto. Mafie private e pubbliche intanto si sono scatenate in tutta la città per la produzione di documenti falsi che si possono ormai trovare quasi ovunque a cifre molto ragionevoli, soprattutto se pagati dai vari candidati decisi ad aumentare il proprio parco voti. E in tre quartieri la guerriglia ha attaccato le locali sedi elettorali, provocando gravi danni alle strutture di alcune scuole. A scaldare gli animi nel quartiere ghetto sciita di Sadr city, relativamente tranquillo in questi giorni, ci hanno pensato i marines che l’altra notte hanno fatto irruzione in una moschea dove hanno arrestato venticinque militanti di Moqtada al Sadr. Fuori Baghdad, soprattutto andando verso nord e verso ovest è tutto un campo di battaglia: impossibile dare conto degli attacchi, delle sparatorie e degli attentati che sono accaduti a Samarra, Tikrit, Baquba e Mosul, dove un nuovo fantomatico gruppo della guerriglia «I mujaheddin di Ninive» ha rapito tre funzionari governativi addetti alle elezioni.