Questo interessante articolo apparso su Il Sole 24 Ore spiega bene quale è l’orientamento del gruppo dirigente cinese in merito al futuro dell’economia e sfata molti stereotipi sulle cosidette “privatizzazioni”, che in realtà non mettono in discussione il controllo strategico dello Stato cinese sui fondamentali gangli finanziari dell’economia.
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No agli stranieri in maggioranza nel capitale delle banche. Nessuna valutazione in vista sul renminbi, Avanti tutta con le riforme per colmare il divario di ricchezza interno al Paese. Guai a chi nega il principio che esiste una sola Cina. Sì alla libertà di espressione, purché non metta a rischio gli interessi nazionali.
Sono pietre le parole con cui Wen Jiabao consegna agli archivi della storia la sessione 2006 dell’Assemblea Nazionale del Popolo. «La strada davanti a noi è irta di ostacoli, ma ormai non possiamo più tornare indietro», ha detto il Primo ministro cinese nella conferenza stampa che ha chiuso la riunione annuale del Parlamento. Una conferenza stampa fiume, probabilmente la più lunga nella storia della Cina comunista, nella quale Wen ha illustrato il sentiero politico sul quale Pechino si muoverà nei prossimi anni per costruire il «socialismo con caratteristiche cinesi». Chiarendo con grande lucidità la posizione del Governo sulle questioni più scottanti, interne e internazionali, che la Cina dovrà fronteggiare.
Le banche. «Lo Stato deve mantenere il controllo sulle banche nazionali affinché la linfa vitale del sistema economico resti in mani sicure; e per minimizzare rischi di crisi finanziarie», ha detto il premier cinese, smorzando così qualsiasi progetto bellicoso da parte di gruppi esteri. Insomma, gli attuali tetti alle partecipazioni negli sportelli del Celeste Impero non si toccano: gli stranieri possono detenere massimo il 25% di un istituto di credito, e un solo azionista d’oltremare non può comunque acquistare più del 20 per cento. Ciononostante, ha precisato Wen, la riforma del settore finanziario andrà avanti come previsto dagli accordi Wto. Il che significa che, dopo la maxi Offerta Pubblica di Vendita da 9.2 miliardi di dallari lanciata lo scorso autunno su China Construction Bank, Pechino intende andare avanti con la quotazione a Hong Kong e New York degli altri tre colossi creditizi pubblici (il prossimo a sbarcare al listino sarà Bank of China).
Il renminbi. «Non ci saranno altri interventi amministrativi per far apprezzare o deprezzare il valore dello yuan», ha chiarito Wen, sgombrando così il campo dalle voci di mercato che negli ultimi tempi avevano ipotizzato un ulteriore colpo di penna governativo per correggere al rialzo le quotazioni della moneta cinese ritenute ancora troppo basse dai partner commerciali di Pechino. La rivalutazione operata lo scorso luglio, con la quale il renminbi aveva contestualmente detto addio all’ancoraggio decennale sul dollaro, deve quindi considerarsi un evento straordinario e non ripetibile. «La riforma del sistema di cambio dell’anno scorso prevede già una banda di oscillazione che consente allo yuan di fluttuare verso l’alto o verso il basso in linea con le condizioni di mercato. Non aspettatevi dunque altre sorprese», ha avvertito il Primo ministro.
Il divario sociale. «È vero, in Cina ci sono ancora molti poveri. Tuttavia, vorrei ricordare che questo sistema è riuscito finora a sfamare un miliardo e trecento milioni di persone e ad affrancare oltre 200 milioni di individui dall’indigenza», ha premesso Wen. Ma per raggiungere il nuovo «fine ultimo» individuato dalla nomenklatura cinese – la costruzione della cosiddetta «società armoniosa» – bisogna fare di più. Bisogna riequilibrare il gap di ricchezza tra città e campagne, tra Est e Ovest, tra chi ha e chi non ha. «Andremo avanti risolutamente con le riforme per costruire un socialismo con caratteristiche cinesi», ha spiegato il premier. Lo strumento sarà il Piano Quinquennale 2006-2011 approvato in questi giorni dall’Assemblea del Popolo. Un Piano che, se da un lato “sacrifica” qualcosa sul piano quantitativo ponendo il target di crescita nel prossimo lustro al 7,5% annuo, dall’altro si pone una serie di obiettivi ambiziosi per quanto riguarda la redistribuzione del reddito tra le classi sociali, il miglioramento dell’ambiente e il risparmio energetico.
Taiwan. «Stiamo osservando attentamente l’evolversi della situazione e ci stiamo preparando per affrontare qualsiasi conseguenza», ha tuonato Wen facendo esplicito riferimento alla recente decisione con cui il presidente taiwanese, Chen Shui-bian, ha cancellato il Consiglio per l’unificazione nazionale (un organismo simbolico che dovrebbe stabilire le linee guida di una futura riunificazione pacificata tra Taipei e Pechino).
La censura sui mezzi di informazione. «In Cina oltre 100 milioni di persone usano internet. Noi siamo favorevoli a questo sviluppo. A patto, però, che avvenga disciplinatamente, poiché non possiamo consentire che la rete diventi uno strumento per ingannare l’opinione pubblica. Ciò significa che ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità», ha detto Wen Jiabao. Che sulla questione è stato durissimo, chiudendo qualsiasi porta a coloro che vorrebbero utilizzare internet per far circolare liberamente l’informazione. «La Cina sancisce la libertà individuale, nella misura in cui però questa non danneggi la sicurezza e l’interesse della nazione».